Intellettuali francesi a difesa dei monumenti
“Giù le mani dalla mia storia”. L’appello di Finkielkraut, Bruckner, Valls e gli altri
Roma. A Fort-de-France, in Martinica, attivisti hanno tirato giù un cartello stradale con il nome di Victor Hugo, prima di bruciarlo. “Se Victor Hugo è indegno, nessuno è degno”, ha detto la Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo. La statua di Giuseppina, moglie di Napoleone Bonaparte, è stata decapitata e abbattuta sempre a Fort-de-France. Stessa sorte per il monumento a Victor Schoelcher, il legislatore francese che abolì la schiavitù. La decolonizzazione della memoria avanza non soltanto nelle ex colonie, ma anche a Parigi, dove il primo a subire i colpi dell’iconoclastia è stato Voltaire, la cui statua è stata vandalizzata a Parigi. Poi quella di Hubert Lyautey, ministro della Guerra durante il primo conflitto mondiale. Poi Jean-Baptiste Colbert, autore del documento che fissava le condizioni della schiavitù. Sul piedistallo la scritta “negrofobia di stato”.
Adesso arriva un appello di intellettuali francesi: “Giù le mani dalla mia storia”. Firmato dal filosofo Alain Finkielkraut, dal saggista e scrittore Pascal Bruckner, dalla studiosa Bérénice Levet, dall’ex premier Manuel Valls, l’appello, che ha già raccolto 25 mila adesioni, dichiara che “questa importazione del politicamente corretto all’americana è assolutamente disastrosa” e che “rischiamo di intraprendere un processo che non avrà fine, che non può avere fine. Oggi è Colbert, domani è Jules Ferry, perché ha parlato del dovere di ‘civilizzare gli inferiori’. Dobbiamo rileggere la storia nel suo contesto e non proiettare le nostre attuali ossessioni nel passato”. Accusare il passato di razzismo, affermando che tutte le culture sono uguali, “ci impedirebbe di condannare fermamente – e ovunque – escissione, poligamia o matrimoni forzati. Saremo guidati dal trasformare la storia in un processo con un elenco infinito di imputati”. La storia è conoscenza, continuano. “Dobbiamo parlare di schiavitù, ma dobbiamo parlarne in tutte le sue dimensioni. Certo, la tratta degli schiavi è un crimine contro l'umanità. Ma la schiavitù esisteva in Africa, gli africani partecipavano alle tratte. Mentre c’erano undici milioni di deportati ai sensi dei trattati europei, ce ne erano diciassette milioni sotto il commercio di schiavi orientali, schiavi che del mondo musulmano”. Mentre tutte le culture sono macchiate di crimini, “solo la cultura occidentale conosce il dolore della colpa”. Per giunta, la Francia è stato il primo paese al mondo ad abolire la schiavitù nel 1794, è il paese della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il primo a emancipare gli ebrei.
Si processa il passato e con esso gli storici che vanno contro la storiografia antirazzista e antioccidentale. Come ha fatto nel libro “Aristotele a Mont-Saint-Michel” lo storico francese Sylvain Gouguenheim, medievista all’École Normale Supérieure di Lione, reo di aver spiegato che l’eredità greca nel Medioevo fu trasmessa all’Europa occidentale da Costantinopoli, non dal mondo islamico. “La cultura greca non tornò all’occidente solo grazie all’islam: a salvare dall’oblio i filosofi antichi sarebbe stato innanzitutto il lavoro dei cristiani d’oriente, caduti sotto dominio musulmano, e dunque arabizzati”. Fu nello scriptorium dell’antica abbazia che dà il titolo al libro, nel XII secolo, che le opere di Aristotele furono tradotte direttamente dal greco dai monaci copisti. Sono seguite petizioni in serie contro Gouguenheim. Intanto, un altro storico francese, Olivier Pétré-Grenouilleau, si metteva nei guai con il libro “La Traite des Noirs”, in cui spiega: “Il numero degli schiavi cristiani razziati dai musulmani supera quello degli africani deportati nelle Americhe”.
Non c’è momento più proficuo per erigere tabù storici che durante la guerra alla storia. Un nuovo ordine che nasce dal disordine. Sul New York Times della scorsa settimana ci si domandava: “Dovremmo cancellare Aristotele?”.
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