Fa tutto di malavoglia, con una cattiva disposizione, con un continuo sottofondo rabbioso. Vale per la politica, per le elezioni presidenziali vinte e per quelle cui si accinge, vale per il business e anche per il golf. Perché qui si vuole parlare di golf e di Donald Trump e pure, un po’, di Joe Biden. Tema spremuto, ma mai abbastanza, grazie alla fortunata condizione in cui si trova da decenni la politica americana, e cioè a quella circostanza ideale per noi politologi istintivi che permette di mettere a confronto presidenti, vicepresidenti e altri top rank dell’Amministrazione perché tutti giocano a golf. Prerogativa degli Stati Uniti, perché in nessun altro paese ad alta densità golfistica esiste questo livello di confrontabilità sperimentale tra leader politici attraverso la prova delle 18 buche. Non succede nel Regno Unito, e neanche in Irlanda (dove davvero giocano a golf tutti). Non succede in Sud Africa, in Corea del sud, in Australia, e nei tanti altri paesi pieni di appassionati. Sono stati gli americani a fare del golf uno sport presidenziale e di tutti i cittadini, in una gigantesca operazione di marketing di massa partita negli anni 50, con un lavoro preparatorio già negli anni 30, e mai più fermata.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE