Il presidente russo Vladimir Putin lo scorso febbraio durante la festa per la Difesa della patria (LaPresse)

Il suono della propaganda

Peter Pomerantsev

Kiev 2014, la Crimea, l’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines. Come è nato il più stupefacente Blitzkrieg nella guerra dell’informazione del Cremlino

Pubblichiamo in questa pagina, per gentile concessione dell’editore, un estratto di “Questa non è propaganda. Avventure nella guerra contro la realtà” (320 pp., 18 euro) di Peter Pomerantsev, uscito a luglio 2020 per Bompiani nella collana Munizioni e tradotto da Andrea Silvestri. "La guerra contro la realtà è nata in Russia da una brutta nostalgia": qui l'articolo di Micol Flammini


            

Al giorno d’oggi, i discorsi sulla Guerra fredda sono stati sostituiti dal dibattito sulla guerra dell’informazione. Il mio ufficio è invaso da pile di corposi saggi e rapporti come “Il megafono delle menzogne del Cremlino” e “La Linea Maginot digitale”. Ho scritto a mia volta su “La trasformazione in arma dell’informazione” e “Come vincere la guerra dell’informazio- ne”, analizzando l’utilizzo dei media nei paesi confinanti da parte del Cremlino. Durante le mie ricerche, mi sono imbattuto in un manuale russo dal titolo “Operazioni di guerra psicologica e dell’informazione: una piccola enciclopedia e guida di consultazione” (l’edizione del 2011, attribuita a Veprintsev et al. e pubblicata a Mosca da Hotline-Telecom, può essere acquistata in rete per 348 rubli). Il libro è rivolto a “studenti, esperti di politica, servizi di sicurezza nazionali e funzionari pubblici”: una sorta di manuale di istruzioni destinato alle nuove reclute nella guerra dell’informazione. L’utilizzo di armi dell’informazione, vi si sostiene, “agisce come una radiazione invisibile” sui suoi bersagli. “La popolazione non si accorge neppure di essere stata colpita. E così lo Stato non mette in funzione i suoi meccanismi di autodifesa.”

   

L’enciclopedia sembrava portare l’idea della guerra dell’informazione al di là delle semplici campagne di guerra cibernetica e mediatica, cui avevo creduto si limitasse, accennando a qualcosa di più vasto. E quanto più approfondivo la bibliografia russa sulla “guerra dell’informazione”, tanto più mi pareva simile a un’ideologia, a una visione del mondo, e non a un mero strumento di politica estera. In cosa si differenzia dalla Guerra fredda, e come si vince, o si perde?

   

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L’ultima cosa che si potrebbe pensare di Tetyana è che sia una soldatessa. Ma all’inizio del 2014, all’apice della sollevazione ucraina contro un presidente filorusso, Tetyana si ritrovò all’improvviso in grado di decidere della vita e della morte. Seduta nell’appartamento di suo padre, in pigiama, teneva la mano su una tastiera, sapendo che se avesse premuto un tasto avrebbe potuto spingere delle persone assolutamente reali verso una morte assolutamente reale, e se ne avesse premuto un altro, la rivoluzione e tutto ciò per cui lei, i suoi amici e migliaia di altre persone avevano combattuto avrebbe rischiato di andare perduto.

      


La propaganda è “come una radiazione invisibile”. “La popolazione non si accorge neppure di essere stata colpita”


      

All’epoca Tetyana gestiva la pagina Facebook di Hromadske Sektor (il Settore civico), uno dei principali gruppi d’opposizione nella rivoluzione ucraina contro il presidente Viktor Janukovyčc e i suoi alleati al Cremlino. Postava fotografie e video che arrivavano direttamente dalla filosofia dell’azione nonviolenta di Srdja Popovic: un manifestante che suonava un pianoforte per strada, di fronte a una fila di poliziotti in tenuta antisommossa, immagini di dimostranti che tenevano in mano degli specchi davanti alle forze dell’ordine, il disegno di un poliziotto che si batteva in duello con un manifestante, l’agente brandendo una pistola e l’attivista “sparando” con un logo di Facebook, emblematico dell’importanza dei social media per le proteste. Gli attivisti potevano organizzare tutto online, dal supporto medico all’assistenza legale, coordinando manifestazioni di milioni di persone e raccogliendo fondi per il cibo e l’alloggio dagli ucraini all’estero.

   

Tetyana aveva tenuto alto il ritmo dei clic nei lunghi mesi delle proteste. Hromadske Sektor aveva 45.000 follower, e 150.000 ospiti avevano partecipato alle loro manifestazioni – gente che non si fidava dei politici ma credeva in volontari come Tetyana.

    

Tetyana aveva aderito a Hromadske Sektor perché voleva prendere attivamente parte a un momento storico, a qualcosa da raccontare ai suoi futuri figli. La sollevazione fu soprannominata la “Rivoluzione della dignità”. Era cominciata quando il presidente Janukovyčc aveva improvvisamente annullato, in cambio di un prestito di sedici miliardi di dollari dal Cremlino, l’impegno a firmare il trattato di adesione all’Unione europea, preso molto tempo prima. Dopo che la polizia di Janukovyčc aveva picchiato gli studenti che protestavano, la sollevazione era diventata per molti il simbolo dell’aspirazione a un governo meno corrotto, a una società più giusta legata alla parola “Europa”: “Euromaidan” era l’altro soprannome della rivoluzione (Majdán Nezaléžnosti, ossia piazza dell’Indipendenza, era il luogo in cui si riunivano i manifestanti).

   

Tetyana postava sul sito mentre preparava gli articoli per il suo vero lavoro come giornalista finanziaria. Si diceva che in qualche modo sarebbe rimasta super partes; era favorevole alla democrazia e ai diritti umani, certo, ma non era disposta a lasciarsi trascinare nella disinformazione, a sporcarsi le mani.

   

Il turno di Tetyana era al mattino. Viveva a Kiev, ma quel giorno si trovava nella sua città natale di Lugansk, una delle ca- pitali della parte orientale del paese, il Donbas, dove la maggior parte della gente guardava la televisione di Stato o quella russa, che dipingeva la rivoluzione come una cospirazione neofascista orchestrata dagli Stati Uniti. Laggiù Tetyana non accennava mai al suo lavoro per Hromadske Sektor.

           


 Le televisioni russe si riempirono di storie inventate su come il Pravyi Sektor avesse intenzione di massacrare l’etnia russa in Crimea


     

Quel mattino si era svegliata alle nove e aveva acceso il computer collegandosi al live feed che arrivava da piazza dell’Indipendenza. Sulle prime credette di aver messo per errore un qualche film d’azione: i cecchini stavano falciando le persone e c’era sangue per le strade. Poi il suo telefono squillò: erano degli attivisti che chiamavano dalla piazza. Sentì dei colpi d’arma da fuoco alle loro spalle, e dopo un breve intervallo di tempo ne udì il crepitio anche sul live stream.

“Devi far venire la gente in piazza dell’Indipendenza. Abbiamo bisogno di tutti qui.”

Tetyana vedeva però apparire sul suo feed di Facebook messaggi di gente che si trovava nella piazza ed esortava tutti a scappare per mettersi in salvo. Gli attivisti continuavano a chiamarla, pretendendo che dicesse ai follower di raggiungerli. “Ma stanno uccidendo delle persone,” disse lei.

“I cecchini smetteranno di sparare se arriverà altra gente.”

“E se non lo faranno?”

“Spetta a te decidere.”

Non era la prima volta che il suo istinto giornalistico di restare super partes si trovava in conflitto con il suo impegno rivoluzionario. Qualche settimana prima i nazionalisti pagani con il passamontagna del Pravyi Sektor (il Settore destro) avevano cominciato a lanciare molotov incendiarie attraverso le tempeste di neve contro la polizia in tenuta antisommossa. Prima di allora in pochi avevano sentito parlare del Pravyi Sektor. Erano solo poche centinaia di persone, ma la pubblicità ricevuta dalle violenze aveva accresciuto vertiginosamente la popolarità del loro profilo. I ragazzini in cerca di un po’ di ultraviolenza adesso si stavano unendo a loro.

   

Tetyana non approvava le violenze del Pravyi Sektor, né la sua ideologia. L’Euromaidan di piazza dell’Indipendenza era formato da diversi “settori”: c’era di tutto, dai neocosacchi ai neoanarchici e i neofascisti, tutti in grado di organizzarsi con l’aiuto di Internet, e tutti guidati da diverse ideologie. C’erano anche gli amici dei miei genitori che erano stati torchiati dal Kgb. Coglievano nell’Euromaidan una lontana eco delle loro battaglie, anche se elevate a un livello di protesta di massa che non si poteva neppure sognare nel 1978. Per loro l’Euromaidan era una nuova fase in una lotta molto più vecchia contro i “cekisti” del Cremlino e i loro satrapi a Kiev. Anche se adesso non c’erano solo “progressisti amanti della libertà” là fuori nelle strade, tutti avevano le loro motivazioni. I diversi settori non avevano molto in comune se non l’insofferenza per la corruzione e l’occasionale brutalità di Janukovyc, e non sembrava giusto attaccare gente che veniva pestata dalla stessa polizia che pestava anche te.

     


Se la narrazione del Cremlino aveva un fine, era mostrare che il desiderio di “libertà” non conduceva alla pace ma alla devastazione


      

Hromadske Sektor decise di ignorare le violenze del Pravyi Sektor, ma quel mattino Tetyana non poteva ignorare il massacro in piazza dell’Indipendenza. Qual era il suo ruolo? Era forse, in fondo, una propagandista? Una giornalista? Stava seguendo la guerra come una reporter, o come una militante, una soldatessa? Ogni volta che posti o scrivi un tweet, o semplicemente lo condividi, diventi una piccola macchina per la propaganda. In questo nuovo flusso dell’informazione, ognuno deve trovare i propri limiti. Tetyana aveva raggiunto i suoi. Si rifiutò di incoraggiare la gente ad andare in piazza dell’Indipendenza. Si limitò a riferire quello che stava accadendo, lasciando che fosse la gente a decidere.

     

Diversi leader dell’Hromadske Sektor si connetterono per esortare la gente a radunarsi in piazza dell’Indipendenza. In quei giorni persero la vita centotré manifestanti. Ma le folle non smisero di andare in piazza. Continuarono a spingersi avanti, assaltando il palazzo presidenziale, mentre nelle altre regioni un municipio dopo l’altro veniva preso d’assalto dai manifestanti, molti dei quali a loro volta armati. Il presidente Janukovyčc fuggì in Russia. I capi dell’Hromadske Sektor si unirono ai partiti politici e chiesero le elezioni. Tetyana non volle essere coinvolta nella politica dei partiti e abbandonò il movimento.

   

Poi arrivò la vendetta del Cremlino. Le televisioni russe si riempirono di storie inventate su come il Pravyi Sektor avesse intenzione di massacrare l’etnia russa in Crimea, dove costituiva la maggioranza della popolazione. A Sebastopoli, la capitale della Crimea, gruppi di cosacchi, partiti separatisti e preti ortodossi (tutti finanziati dal Cremlino) guidarono folle di persone a supplicare Putin di salvarli. Putin li accontentò e procedette all’annessione della penisola.

   

Le televisioni russe cominciarono a trasmettere notizie allarmistiche sull’imminente arrivo del Pravyi Sektor in Ucraina orientale per sterminare i russi anche lì. La rete, il mezzo che aveva favorito la rivoluzione, fu inondata di contenuti del Cremlino, diffusi dalla fabbrica di troll nelle periferie di San Pietroburgo. I dipendenti del vecchio luogo di lavoro di Lyudmila venivano pagati qualche centinaio di dollari al giorno per postare immagini, commenti e video, seminando confusione, ostilità e panico nell’Ucraina orientale.

   

La campagna d’informazione del Cremlino fu il preludio all’azione. Forze irregolari, alleate locali del Cremlino, occu- parono diverse città nell’Est, tra cui Doneck e la città natale di Tetyana, Lugansk. Offrivano una caricatura del linguaggio visivo della sollevazione di piazza dell’Indipendenza, con folle sbandieranti che in certi casi erano state portate in autobus dall’altra parte del confine e cumuli di pneumatici in fiamme, che erano diventati il simbolo degli avvenimenti di Kiev. Fu soprannomnata la “Primavera russa” dai media controllati dal Cremlino, attingendo al linguaggio della ribellione cecoslovacca contro l’Unione Sovietica del 1968. Come nelle precedenti campagne d’informazione sulle rivoluzioni colorate, il Cremlino stava tentando di svuotare di senso l’Euromaidan con quella caricatura. Al tempo stesso stava tentando disperatamente di ridipingere la rivoluzione come un momento della più vasta storia di ma- nipolazione degli ucraini da parte di forze americane occulte, all’interno di quella politica a stelle e strisce di “cambiamento di regime” che aveva condotto alla catastrofe di Iraq e Libia. Igor Ashmanov e i capi dei media di Stato russi affermarono che la rivoluzione ucraina era, ovviamente, un prodotto della guerra dell’informazione.

    


La sollevazione era diventata il simbolo dell’aspirazione a una società più giusta legata alla parola “Europa”: “Euromaidan”


     

Se la narrazione del Cremlino aveva un fine, era questo: mostrare che il desiderio di “libertà”, quel retaggio della logica della Guerra fredda, non conduceva alla pace e al benessere ma alla guerra e alla devastazione (un messaggio rivolto soprattutto al proprio popolo, in modo che non si entusiasmasse troppo per quell’idea). Affinché tale narrazione diventasse vera, bisognava fare in modo che l’Ucraina non potesse mai raggiungere la pace. Quella nazione doveva continuare a soffrire.

    

Quando l’esercito ucraino attaccava le roccaforti dei separatisti, il Cremlino mandava i carri armati a respingerlo, per poi ritirarsi e sostenere di non aver mai sconfinato. Negli anni seguenti – e anche nel momento in cui scrivo queste pagine – gli scontri proseguirono qua e là: non c’era una vera e propria guerra, ma neppure la pace. Nel Donbas le città vengono conquistate e poi perse di nuovo. Le artiglierie sparano da entrambi gli schieramenti. L’esercito russo compie esercitazioni di massa al confine con l’Ucraina, e il panico di massa si diffonde nel paese. Le violenze hanno avuto anche conseguenze non previste. Nel luglio del 2014, quando una contraerea high-tech russa abbatté un aereo di linea della Malaysia Airlines pieno di turisti olandesi che stava sorvolando il territorio controllato dagli alleati del Cremlino, uccidendo 298 persone, cominciò un’attività frenetica di diffusione di notizie assurde all’interno della campagna di disinformazione: l’aereo era stato abbattuto dagli ucraini che pensavano fosse il jet privato di Putin; sul velivolo erano stati caricati in anticipo dei cadaveri ed era tutta una montatura; l’aereo era stato abbattuto da caccia ucraini...

   

Il comandante in capo delle forze alleate Nato aveva definito la campagna per conquistare la Crimea “la più stupefacente Blitzkrieg nella guerra dell’informazione” della Storia. Ma furono i normali cittadini ucraini, spesso abbandonati da un governo inadeguato, a dover trovare il modo per impedire che la Blitzkrieg dell’informazione si estendesse anche al resto del paese.

   

© Peter Pomerantsev, 2019© Giunti Editore S.p.A. / Bompiani

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