Leone l’Africano, nato al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan al-Fasi e battezzato Joannes Leo de Medicis in onore al Papa Leone X, scriveva nel 1526: “A Timbuctù c’è un grande stuolo di dottori, giudici, preti e altri uomini di cultura che sono mantenuti riccamente dalla generosità del re”. Narrava ancora il singolare geografo ed esploratore berbero: “Qui vengono portati diversi manoscritti e libri scritti da fuori della barbaria, che sono venduti a un prezzo più alto di qualsiasi altro bene”. Oggi, invece, nell’antica città del Mali c’è la culla di quello che potremmo chiamare il virus africano: non il Sars-Cov2, bensì il tramonto delle grandi speranze. Il vero male che salpa dalla sponda sud del Mediterraneo verso l’Italia e verso l’Europa, l’infezione che rischia di espandersi in Africa prima di sbarcare a Lampedusa, è la sincope dello sviluppo e della democrazia. Lo dimostra il colpo di stato nel paese dei Tuareg, che evoca antichi spettri mai esorcizzati in buona parte del continente; un golpe maturato sotto il naso dei 30 mila soldati dispiegati da Francia, Italia, Germania e dall’Onu. Torniamo così alla leggendaria città nel deserto diventata, insieme ad Agadez in Niger, la piattaforma per raggiungere il Nord Africa, il Marocco, l’Algeria, la Libia, la Tunisia, e l’Italia. Dobbiamo renderci conto che il Sahara, un tempo “spazio connettivo” per l’emisfero settentrionale del continente, è ormai “una frontiera dell’Europa”, sostiene Luca Raineri della Scuola superiore di Sant’Anna. Ma l’Europa, come si è visto, conta sempre meno.
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