Roma. Durante il suo viaggio in Siberia, qualche giorno prima di essere avvelenato e di sentirsi male sul volo che lo avrebbe riportato a Mosca, Alexei Navalny era a Tomsk. All’università della cittadina siberiana uno degli studenti presenti all’incontro con l’attivista gli aveva domandato: “Ma lei, perché è ancora vivo?”. E questa domanda Navalny se l’è sentita fare tante volte e sempre ha risposto allo stesso modo: “Perché per il Cremlino io sono più un problema da morto”. Alexei Navalny è ancora vivo, anzi i medici tedeschi che lo hanno preso in cura all’ospedale Charité di Berlino dicono che si salverà – le sue condizioni migliorano anche se non si sa quali conseguenze lascerà l’agente nervino usato per avvelenarlo – ma che il suo silenzio possa rappresentare un problema politico interno per il Cremlino, non è detto. Tutto dipende dalla riorganizzatore dei sostenitori di Navalny che in questi giorni si sono ritrovati con una campagna elettorale da portare avanti e con una grande eredità da mantenere.
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