Sono state le giornate più difficili del processo in corso sulla strage di Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015. Sul banco dei testimoni, un dirigente della sezione antiterrorismo. Sono mostrati video e immagini realizzate dagli inquirenti appena arrivati nella redazione del settimanale che aveva pubblicato le vignette su Maometto. Alla prima pozza di sangue, i parenti delle vittime escono in lacrime. Dieci corpi. Il dirigente descrive in dettaglio come ogni giornalista e vignettista è stato assassinato tra le 11:33 e le 11:35. Il corpo di Stephane “Charb” Charbonnier, il direttore preso di mira da una fatwa, è quello che ha più proiettili. Sette. E’ a pancia in giù. A pochi metri, i corpi di Cabu, Bernard Maris, Georges Wolinski, Tignous, Elsa Cayat. Sono intrecciati. Poi la videosorveglianza del giornale. I terroristi Saïd e Chérif Kouachi, incappucciati e armi in pugno, spingono “Coco” dietro la porta blindata. Simon Fieschi, il giovane webmaster, cade dalla sedia. Uscirà dall’ospedale dopo otto mesi, con sette centimetri in meno di altezza per le lesioni alla colonna vertebrale. Inizia la mattanza. Poi gli islamisti escono per strada e c’è il video finito anche su Youtube. I Kouachi nella C3, aggiustano le armi e gridano: “Abbiamo vendicato il profeta Maometto”.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE