Una prova di forza contro l'Italia dopo essere stato snobbato, Haftar è sempre più nervoso e non vuole mettersi da parte come Serraj. L'Italia paga il prezzo dei negoziati in corso per formare un nuovo Consiglio presidenziale che (forse un giorno) riunificherà la Libia
Roma. C’è un trucco nella fine politica di Fayez al Serraj, il premier di Tripoli che due giorni fa ha annunciato le dimissioni. Serraj ha detto che se ne andrà entro la fine di ottobre oppure quando il nuovo Consiglio presidenziale sarà pronto. Ma il nuovo Consiglio presidenziale che dovrebbe rimpiazzare quello che al momento ha sede a Tripoli è un’invenzione ibrida che per ora esiste soltanto nei lunghi round di trattative fra i libici e fra i loro sponsor internazionali – che come sappiamo includono la Turchia, l’Egitto, la Russia e altri ancora. In teoria sarà formato da tre persone in rappresentanza delle tre regioni libiche, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, e poi ci sarà un premier libico staccato da questo consiglio che diventerà la figura più riconoscibile del paese. I negoziati per formare il Consiglio sono cominciati dieci giorni fa in Marocco ma sono subito falliti e ora ci si aspetta che riprendano a Ginevra in Svizzera a ottobre. Ma sappiamo che in Libia le cose si trascinano a lungo, quindi se Serraj si dimetterà “quando sarà formato il nuovo consiglio presidenziale” allora potrebbe restare in carica ancora a lungo. Intanto, ha un po’ diminuito la pressione da parte di chi a casa sua, dentro Tripoli, vorrebbe rimpiazzarlo. La vittoria nella guerra civile contro il generale Haftar ha reso Serraj ancora più debole, sembra strano detta così ma il suo debito verso le milizie e le varie fazioni armate non è mai stato così evidente, come pure è evidente il fatto che il suo è un ruolo rappresentativo per rassicurare il mondo con il suo volto da nonno gentile. Serraj iniziò la sua leadership quattro anni fa come creatura della diplomazia italiana, adesso è un uomo della Turchia.
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