Nel 2015 il paese scandinavo aveva accolto più di tutti, dopo i tedeschi. Oggi però il premier socialdemocratico Löfven dice che "senza integrazione aumenta la criminalità". E il governo di coalizione con i Verdi è in crisi
“Wir schaffen das”, possiamo farcela, fu la profezia della cancelliera tedesca Angela Merkel quando nel 2015 sfidò tutti – in primis i sovranisti dell’estrema destra – tenendo le frontiere aperte ai migranti. Cinque anni dopo, i dati hanno dimostrato che la Germania c’è riuscita davvero e che le politiche di integrazione, per quanto perfettibili, hanno funzionato: quasi tutti i richiedenti asilo hanno partecipato ai corsi di lingua organizzati dallo stato e il 43 per cento ha lavorato o fatto stage. Un sistema che ha dato risultati addirittura migliori di quelli raggiunti negli anni 90 con i rifugiati dell’ex Jugoslavia. E ancora oggi, la Germania è l’unico paese europeo a essersi offerto di accogliere 1.500 migranti provenienti dal campo di Moria, in Grecia (a parte altri 400 minori che saranno divisi fra dieci paesi europei). Ma se in Germania la politica della porta aperta di Merkel ha funzionato, in Europa c’è chi si pente invece di non averla tenuta chiusa.
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