La storia dell’AfD, fatta di tensioni, smembramenti, crisi identitarie, risse – tra i suoi membri volano anche i pugni – ha aggiunto lunedì un nuovo episodio che ben racconta e descrive l’anima del partito tedesco di estrema destra. L’ex portavoce Christian Lüth è stato espulso dopo aver detto a un militante che i migranti non costituiscono un grosso problema per l’AfD perché “potremmo sparargli o gasarli”. Potrebbero piuttosto essere un problema per la Germania, ha detto l’allora portavoce, ma “peggio va per la Germania, meglio va per l’AfD”. Lüth non sapeva che qualcuno lo stesse registrando mentre parlava – era febbraio, l’audio è stato poi utilizzato per realizzare un documentario – e quindi parlava apertamente. Qualche mese dopo, in aprile, Lüth si era dovuto dimettere dal suo ruolo di portavoce del partito per essersi definito “fascista”. Dopo le rivelazioni del quotidiano Zeit su Lüth, Konrad Adam, giornalista e uno dei primi esponenti dell’AfD, ha deciso che dal primo gennaio non sarà più membro del partito e in un’intervista alla Faz ha detto che ormai “non vede più un futuro per l’AfD come una forza conservatrice”. I problemi interni al partito fondato nel 2013 da Bernd Lucke e Alexander Gauland risalgono a quando, davanti a un elettorato in crescita dopo il voto del 2017 che ha portato l’AfD a diventare la prima forza d’opposizione in Germania, il partito ha iniziato a domandarsi in quale direzione dovesse andare. Se fosse il caso di spingersi un po’ verso il centro, magari cercando di attrarre gli elettori delusi della Cdu di Angela Merkel, oppure se spostarsi, se possibile, ancora più a destra.
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