L'Ecr, di cui la leader di Fdi è diventata presidente, senza Orbán è vuoto. Se il premier ungherese trasloca dal Ppe, s’intende più con Fratelli d'Italia che con Salvini
Bruxelles. Se Viktor Orbán non lascerà il Ppe per entrare nell’Ecr, Giorgia Meloni rischia di aver preso la presidenza di un partito europeo che non c’è. O meglio: di una formazione nata nel 2009 per un capriccio di David Cameron che aveva bisogno di un nuovo gruppo politico all’Europarlamento, e che è diventata un grumo di sovranismi spesso in contraddizione tra loro. Il Partito dei conservatori e riformisti europei (Ecr, secondo l’acronimo inglese) è un ogm politico: una costruzione artificiale di partiti euroscettici che ancora oggi stanno insieme più per convenienze che per convinzioni. Alle ultime elezioni europee, e poi con la Brexit, ha perso consistenza nella plenaria di Strasburgo, facendosi superare dai liberali di Renew, dall’estrema destra di Identità e democrazia e dai Verdi. Eppure l’Ecr conserva un certo potenziale, grazie alla patina di rispettabilità ereditata dai tempi pre Brexit, quando i Tory britannici erano la componente principale. Euroscettici sì, eurofobi no. Sovranisti sì, antisistema no.
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