Sono cominciate le audizioni senatoriali per il gradimento a Amy Coney Barrett, nominata da Trump alla Corte suprema degli Stati Uniti. Intorno alla nomina ci sarà battaglia elettorale, il che è già un nonsenso. D’altra parte la stessa maggioranza repubblicana del Senato che aveva contestato a Obama il potere di nominare un giudice supremo a nove mesi dalle elezioni presidenziali è ora pronta a ratificare la scelta del “suo” presidente a poche settimane da un voto analogo. Sarebbe in fondo strano che non ci sia baruffa, e di quelle dure. I democratici diranno che la Coney Barrett è stata scelta perché è di destra, perché è cattolica, perché è nota come il Giudice Dogma, perché è contro la sanità pubblica, contro l’aborto, a favore della dittatura del mercato, un giudice conservatore pronto a favorire Trump in una eventuale contesa legale intorno agli esiti del voto, come i due precedenti nominati Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh (maggioranza conservatrice sei a tre). Tutte cose vere e false. I repubblicani diranno che la Coney è stata scelta perché è una donna esemplare che lavora, che ha sette figli di cui un paio adottati e uno Down, che ha una formazione a prova di bomba, che non può essere discussa per la sua fede, che il suo costituzionalismo originalista è il riflesso di una grande tradizione giuridica americana, che la sua indipendenza rispetto a contese legali eventuali sulla presidenza e su altro è inattaccabile. Tutte cose vere e false.
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