Nella curva del discontento, la Gran Bretagna è leggermente più avanti di noi. Al momento il governo ha detto che farà degli investimenti per sostenere l’economia che sono stati giudicati troppo vaghi e striminziti, ma l’altro punto di attrito è il tempo: le zone in lockdown vogliono andare via in fretta dal lockdown
Facci vedere la via d’uscita, dicono le zone in lockdown al governo centrale inglese, che tradotto significa: sostieni la nostra economia, ce l’avevi anche promesso in campagna elettorale lo scorso anno. Il Regno Unito, che ha appena superato la soglia dei 60 mila decessi per il Covid-19, è un pochino più avanti nella curva del discontento della seconda ondata: è il momento in cui la “disproporzione” delle misure adottate viene risarcita. Come capita a molti altri paesi alle prese con la seconda ondata, nemmeno il governo di Boris Johnson è riuscito a far scomparire il senso di punizione che sentono le persone che vivono nelle aree con picchi di contagi e in cui devono essere applicate misure di contenimento: non c’è accanimento da parte del governo, anzi la selezione delle zone a più alto rischio è un modo per evitare che il lockdown sia a livello nazionale (o almeno l’unico modo a ora conosciuto). Ma il passaggio a misure di restrizione di diversa intensità – ci sono tre livelli, il più alto prevede che ristoranti e pub chiudano alle 22, gruppi di massimo sei persone all’aperto ma nei posti al chiuso, comprese le case, nessun contatto se non con il proprio nucleo familiare – è stato molto difficoltoso: avranno ragione gli esperti che dicono che è necessario chiudere parzialmente alcune aree? Perché il governo non ha spiegato bene le regole da applicare? Soprattutto: perché noi sì e altri no? Quest’ultimo punto, che è alla base dell’attuale discontento, ha portato a una grande resistenza da parte dei sindaci e degli amministratori delle zone soggette ai minilockdown: ci sono state molte proteste e molte richieste, e ora l’ultima domanda: come e quando se ne esce?
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