Se in America i conti dovessero tornare, l’astuzia dei tempi affiderebbe ai francesi una chiave di volta diplomatica, culturale e politica immensa in un mondo traumatizzato da populismi, nazionalismi e pandemie
La Francia di Macron, allonsanfan, è a un crocevia storico. Se la realtà decide per la perversità, con la rielezione di Trump, tutto da rifare. Ma se per una volta i conti dovessero tornare, con la cancellazione dell’escrescenza al potere più straordinaria da generazioni, l’astuzia dei tempi affiderebbe ai francesi una chiave di volta diplomatica, culturale e politica immensa. Gli osservatori fanno i conti con l’intreccio tra le élite di governo dell’Eliseo e lo staff di Biden, buoni conti che parlano di affinità e relazioni potenzialmente molto solide. Le cose però vanno al di là di un giro di valzer delle strutture di comando a Parigi e a Washington. Nell’ambito della coordinazione franco-tedesca, che per la prima volta ha generato una nuova dimensione dell’Europa politica e istituzionale, emergerebbe una vera nuova leadership. Due anni fa sugli Champs Elysées era la pantomima della guerra civile a manifestarsi con la guerriglia e il chiasso incendiario dei gilet gialli, ora è il momento delle sfide serie e della lingua chiara, fatta di assi cartesiani, con cui la Francia può individuare i punti dirimenti dello spazio politico. Alla crisi e trasformazione dell’esperimento americano fa da contrappunto la vitalità possibile dell’esperimento francese, dall’origine proceduto in parallelo, con scambio di significati e di Statua della Libertà.
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