Lo stupore forse è la sintesi dell’approccio democratico al trumpismo. È cominciato nel 2016, e allora era anche giustificato, quella era l’elezione che non si poteva perdere. Ma quello stato d’animo è rimasto, c’era ancora nella notte elettorale: com’è possibile che ancora si deve lottare, dopo tutto quello che è successo? Lo stupore è andato di pari passo con l’impermeabilità di Trump a ogni genere di scandalo e conseguente indignazione
Joe Biden ha cercato di essere calmo e rassicurante: sta andando tutto bene, non fatevi prendere dall’ansia, soprattutto non credete a Donald Trump che dice di aver vinto. La cifra del candidato democratico è sempre la stessa: si resta calmi e pragmatici, si aspetta che tutti i voti vengano contati, poi avremo il tempo per capire che cosa ha funzionato e che cosa no. Ma il tempo delle analisi – delle accuse e dei rinfacciamenti e dei rimpianti – è già cominciato, anzi è iniziato prestissimo, da quando la Florida è andata dritta verso Trump senza tentennamenti e invece la cosiddetta strada del midwest – la vittoria secca negli stati strappati dal presidente a Hillary Clinton nel 2016: la triade infernale Michigan-Wisconsin-Pennsylvania – sembrava molto accidentata. Si sapeva che poteva andare così, come si sapeva che Trump avrebbe approfittato delle difficoltà democratiche per costruire la sua realtà parallela – “ho vinto” – ma finché lo scenario dell’incertezza non si è concretizzato i democratici hanno pensato che non fosse possibile. Lo stupore, un’altra volta. Quello del 2016 e quello di adesso, mentre tutto cambia e l’idea di Biden alla Casa Bianca non è remota, anzi.
Lo stupore forse è la sintesi dell’approccio democratico al trumpismo. E’ cominciato nel 2016, e allora era anche giustificato, quella era l’elezione che non si poteva perdere. Ma quello stato d’animo è rimasto, c’era ancora nella notte elettorale: com’è possibile che ancora si deve lottare, dopo tutto quello che è successo? Lo stupore è andato di pari passo con l’impermeabilità di Trump a ogni genere di scandalo e conseguente indignazione – e ce n’è stata tanta. Nel 2017, si pensava di poter togliere Donald Trump dalla Casa Bianca per via delle interferenze russe nella campagna elettorale. Ci fu una grande inchiesta, il Russiagate, fu nominato un superprocuratore, Robert Mueller, ci furono scontri istituzionali violenti – con il ministero della Giustizia – testimonianze, ricostruzioni, piste, facce, faccendieri. Poi un tweet – “NO COLLUSION” – spazzò via tutto. Stupore.
A inizio del 2020, cioè qualche mese fa, stessa scena. Questa volta più grave: la messa in stato d’accusa del presidente degli Stati Uniti, l’impeachment. Testimonianze, accuse, ricostruzioni, talpe, la scoperta di diplomazie parallele e non ufficiali, la rivolta degli ambasciatori. Poi il voto: nessun impeachment.
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