In uno dei film di Sergey Solovyov, il regista che durante la perestrojka per primo portò sul grande schermo il mondo dell’underground sovietico, uno dei personaggi metteva tutte le mattine sul giradischi l’annuncio del bollettino medico della morte di Stalin, godendosi ogni sillaba del referto del decesso. Gli spettatori condividevano la gioia quasi fisica di quel macabro rituale: il ricordo del periodo sovietico era troppo fresco, insieme alla convinzione, tipica delle dittature, che soltanto la morte del nemico può risolvere definitivamente un problema, e solo la morte del dittatore possa portare la libertà. E’ stata questa consapevolezza, questa equiparazione del regime al corpo fisico del suo leader, a trasformare la salute, e la morte, dei capi degli autoritarismi in un segreto di stato, e contemporaneamente in una risorsa strategica. Fino all’accanimento terapeutico, come quando, nel 1975, Francisco Franco fu tenuto in vita per settimane, tra apparecchiature e interventi chirurgici, mentre venivano concordati gli ultimi dettagli della successione al caudillo, o quando, nel 1996, Boris Eltsin venne fatto rieleggere presidente nonostante un ennesimo infarto tra il primo turno delle elezioni e il ballottaggio.
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