“E’ ufficiale, l’Ue sta eseguendo il piano di Soros”, ha scritto due giorni fa l’ufficio di comunicazione di Orbán. Basta un attimo, o una distrazione, perché gli sberleffi illiberali diventino brutalità. In Bielorussia, nella repressione del regime è morto, tra gli altri, Raman Bandarenka, arrivato in ospedale in coma, con il cranio fracassato, dopo che era stato infilato in una camionetta delle forze del regime di Lukashenka
All’inizio di ottobre Giorgia Meloni ha pubblicato la “bellissima lettera” che le aveva inviato il premier ungherese, Viktor Orbán, per congratularsi della nomina a presidente del Partito dei conservatori europei. Ci vuole una destra forte in Europa, scriveva Orbán, bisogna lottare insieme contro l’immigrazione ed “evitare il collasso economico”. Ecco: a parte la minaccia migratoria che in Ungheria non c’è e anzi semmai c’è il problema contrario cioè l’emigrazione massiccia da un paese che non offre più opportunità, Orbán in questi giorni sta mettendo a rischio la ripresa economica dell’intero continente sfidando l’Europa con un veto all’accordo sul bilancio pluriennale, premessa indispensabile all’erogazione dei fondi del Recovery fund. Anche la Polonia si è unita alla minaccia, con la stessa motivazione: se i fondi sono condizionati al rispetto delle regole dello stato di diritto, noi non ci stiamo. Che è come dire: vogliamo violare le regole democratiche in pace, senza che Bruxelles interferisca. Che è come dire: meglio il collasso economico di tutti piuttosto che le vostre ossessioni liberali (detto peraltro da un leader che ha il 4 per cento del proprio pil fatto di fondi europei).
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