La dottrina Macron in dieci punti
Reinventare le forme dei rapporti internazionali, dare più forza all’Europa e riaccendere la fiaccola dei suoi valori. Una rivoluzione nelle parole del presidente francese
Il Grand Continent è una rivista pubblicata dal Groupe d’études géopolitiques, un think tank europeo fondato nel 2017. La rivista è diventata nel giro di un anno un punto di riferimento per il dibattito strategico, politico e intellettuale in Francia. A partire da questo mese, il Grand Continet ha iniziato a lavorare alla diffusione europea introducendo versioni in tedesco, spagnolo, italiano e polacco che saranno completamente operative l’anno prossimo. In questa stagione in cui ci si dedica all’autonomia strategica – o almeno così vorrebbero i leader europei – questa rivista si propone di diventare uno spazio di dibattito indipendente: il suo obiettivo è quello di diventare una specie di Foreign Affairs europeo. Raccoglie già oggi i contributi di autori rilevanti in Europa. Questa intervista al presidente francese, Emmanuel Macron, si può trovare nella sua versione integrale in italiano sul sito della rivista.
Mentre il 2020 si avvia alla conclusione e le crisi si sovrappongono in Francia e in Europa, il presidente francese Emmanuel Macron si è soffermato in una lunga conversazione con la rivista Grand Continent sui principali elementi della sua nuova dottrina di politica estera. Ecco i dieci punti di questo approccio, con ampi stralci dell’intervista.
1. Il Consenso di Parigi
Questo è il messaggio principale da ricordare in questa intervista: il presidente della Repubblica vuole inquadrare la sua dottrina intorno all’affermazione di un nuovo consenso globale. Secondo Emmanuel Macron, che la scorsa settimana ha partecipato alla seconda edizione del Forum della Pace di Parigi, la serie di rotture storiche ed epocali che stiamo vivendo ci costringe a pensare a come ricostruire il multilateralismo con nuove proposte.
“Tutti questi elementi producono fratture molto profonde nella nostra vita, nella vita delle nostre società e nello spirito che è emerso in queste date di riferimento. Ed è per questo che voglio lanciare quello che potremmo chiamare il Consenso di Parigi, che però sarà il consenso di tutti, che abbiamo lanciato oggi, che consiste nel superare questi momenti storici importanti che hanno strutturato la realtà politica e intellettuale degli ultimi decenni per mettere in discussione l’elemento di concretizzazione del cosiddetto Washington Consensus, e quindi il fatto che anche le nostre società sono state costruite sul paradigma delle economie aperte, di un’economia sociale di mercato, come si diceva nell’Europa del dopoguerra, che però è diventata sempre meno sociale e sempre più aperta e che dopo questo Consenso, è entrata in un dogma in cui le verità erano: diminuzione del ruolo dello Stato, privatizzazioni, riforme strutturali, apertura delle economie attraverso il commercio, finanziarizzazione delle nostre economie, il tutto all’interno di una logica piuttosto monolitica basata sulla creazione di profitti”.
Quale sarebbe il programma di questo nuovo consenso? In primo luogo, fare un “lavoro ideologico”, che dovrebbe procedere al passo con un mandato alla Francia e all’Europa di pensare con la propria testa.
“L’Europa soffre di un’enorme incapacità nel pensare le questioni che contano. In termini geostrategici, ci eravamo dimenticati di pensare, perché pensavamo le nostre relazioni geopolitiche attraverso la Nato, diciamolo chiaramente – la Francia storicamente meno di altri, ma questo Super-Io è ancora presente, a volte mi batto contro di esso”.
Quindi, costruire nuove coalizioni, integrando attori non statali. La chiave di questo consenso, nelle parole del presidente, sarebbe una “riformulazione” a livello globale intorno alla priorità ambientale.
“La mia convinzione, e lo dico dopo aver commesso molti errori, anche nel nostro Paese con la tassa sulle emissioni di CO2, è che non possiamo realizzare questa transizione se non investiamo massicciamente, non compiamo una transizione allo stesso tempo ecologica e sociale e non trasformiamo il modo di produrre e, di fatto, il nucleo del modello delle nostre strutture”.
Da questo punto di vista, insiste Emmanuel Macron, il commercio dovrebbe essere solo una “variabile secondaria”, ammettendo che si tratta di un imperativo per la conformità e la coerenza a livello politico.
“Abbiamo quindi bisogno di accordi commerciali che siano coerenti con la nostra agenda sul clima, una lotta enorme. E su questo non c’è ancora un consenso europeo. Mi sto battendo molto su questo: l’abbiamo portato avanti nella battaglia europea del 2019. Qui c’è una vera differenza, alcuni paesi sono rimasti con un software che è un software orientato all’apertura e al commercio, che io rispetto. Ma la variabile commerciale rimane in secondo piano. Penso che non sia coerente dal punto di vista dell’efficienza, ma soprattutto che non sia politicamente sostenibile – politicamente”.
2. Rifondare il capitalismo
Il nuovo programma del consenso di Parigi deve quindi essere un’opportunità per mettere in discussione il quadro che ha dominato la politica economica dagli anni Ottanta: il consenso di Washington.
"E’ per questo motivo che sono convinto che ci troviamo ad un punto di rottura, un punto di rottura molto profondo, al di là di questi incontri politici, che è soprattutto un punto di rottura del capitalismo contemporaneo. Perché è un capitalismo che si è finanziarizzato, che si è eccessivamente concentrato e che non ci consente più di gestire le disuguaglianze nelle nostre società e a livello internazionale. A ciò, possiamo rispondere solo ricostruendolo. Innanzitutto, non si può rispondere in un solo paese, la mia politica non va affatto in questa direzione, e me ne assumo pienamente le responsabilità. Se il socialismo non ha funzionato in un solo paese, è anche vero che la lotta contro questo tipo di capitalismo è inefficace in un solo paese”.
Il presidente della Repubblica individua due limiti principali presentati da questo modo di pensare. Il primo è l’impossibilità di affrontare la questione ecologica.
“Innanzitutto, non consente di pensare e di interiorizzare i grandi cambiamenti del mondo, in particolare il cambiamento climatico, che rimane un’esternalità nel Washington Consensus. Stiamo però raggiungendo un punto in cui l’urgenza è tale per cui è impossibile chiedere ai governi di gestire una delle questioni prioritarie del momento, la questione probabilmente prioritaria per la prossima generazione, semplicemente come un’esternalità del mercato”.
Il secondo limite è l’aumento incontrollato delle disuguaglianze derivanti dalla trasformazione delle nostre economie contemporanee a partire dagli anni Ottanta. Emmanuel Macron sottolinea a questo proposito la difficile situazione della classe media nei paesi occidentali.
“Poi ci sono le disuguaglianze. Il funzionamento dell’economia di mercato finanziarizzata contemporanea ha permesso l’innovazione e una via d’uscita dalla povertà in alcuni paesi, ma ha aumentato le disuguaglianze nei nostri paesi. Perché ha delocalizzato in modo massiccio, perché ha ridotto ad un senso di inutilità una parte della nostra popolazione, con profondi drammi economici, sociali ma anche psicologici: le nostre classi medie in particolare, e una parte delle nostre classi popolari, sono state la variabile di aggiustamento della globalizzazione; e questo è insostenibile. È insostenibile, e l’abbiamo indubbiamente sottovalutato”.
3. Pensare ai momenti storici di rottura
L’anno 2020 segnerà una rottura rispetto a tre contesti diversi. Innanzitutto a quello del 1945, una frattura “recentissima”, “che sta prendendo piede”, designata come “il frutto di scelte ideologiche portate avanti con convinzione da potenze che in esse vedono il mezzo per elevarsi”.
“Vediamo che siamo di fronte ad una crisi del quadro multilaterale del 1945: una crisi della sua efficacia, ma, più grave a mio avviso, una crisi dell’universalità dei valori portati avanti dalle sue strutture. Questo è per me – ne abbiamo parlato poco fa, durante la conferenza del Forum di Parigi sulla Pace – uno degli aspetti più gravi di quello che abbiamo vissuto negli ultimi tempi. Elementi come la dignità della persona umana, che erano intangibili e a cui aderivano fondamentalmente tutti i popoli delle Nazioni Unite, tutti i Paesi rappresentati, vengono ora messi in discussione, relativizzati. Il relativismo contemporaneo che sta emergendo segna davvero una frattura e fa il gioco di potenze che non sono a proprio agio nell’ambito dei diritti umani delle Nazioni Unite. Su questo tema è evidente il gioco portato avanti dalla Cina e dalla Russia, che promuovono un relativismo dei valori e dei principi, e un gioco che cerca di ri-culturizzare, di rimettere questi valori in un dialogo di civiltà, o in un conflitto di civiltà, per esempio contrapponendoli alla dimensione religiosa”.
La seconda rottura sarebbe con il quadro post-1968 e con i valori che si erano imposti nelle società occidentali alla fine di questo anno cruciale.
“Siamo testimoni di un neoconservatorismo crescente, in tutta Europa peraltro, che è una rimessa in discussione delle idee del 1968 – sono i neoconservatori stessi a prenderlo come riferimento – cioè dello stato di maturità raggiunto dalla nostra democrazia – il riconoscimento delle minoranze, il movimento di liberazione dei popoli e delle società – e c’è il ritorno del potere della maggioranza e, in un certo senso, di una forma di verità dei popoli”.
Infine, la rottura con il 1989 è essenziale perché, in circa trent’anni, le società contemporanee hanno vissuto una rinascita del totalitarismo, che si pensava si sarebbe conclusa con la fine della Guerra Fredda e la “fine della storia”.
“Le generazioni nate dopo il 1989 non hanno vissuto l’ultima grande lotta che ha strutturato la vita intellettuale occidentale e le nostre relazioni: l’anti totalitarismo. Queste si sono strutturate per molti, così come il loro accesso alla vita accademica e politica, sulla finzione che era la “fine della storia” e sul sottinteso che era l’estensione permanente delle democrazie, delle libertà individuali, ecc. Ci rendiamo conto che non è più così. Riemergono potenze regionali autoritarie, riemergono teocrazie”.
4. Quale Europa geopolitica?
Di fronte all’attuale crisi del multilateralismo, l’unica soluzione, agli occhi del presidente della Repubblica, sarebbe basata sul rafforzamento di un’Europa politica, visto che gli europei non posso contare che su loro stessi.
“Ritengo che un’ulteriore rotta da seguire sia anche l’importanza – e l’uno per me è complementare all’altro – di rafforzare e strutturare un’Europa politica. Perché? Perché se vogliamo che si crei una forma di collaborazione, abbiamo bisogno di poli equilibrati che possano strutturarla intorno ad un nuovo multilateralismo, cioè ad un dialogo tra le varie potenze per decidere insieme. Ciò presuppone che si prenda atto del fatto che gli ambiti della cooperazione multilaterale oggi sono diventati fragili, perché sono bloccati: non posso far altro che constatare che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, oggi, non produce più soluzioni utili”.
Evocando un ritorno del risentimento europeo, descrive questa iniziativa come una rivoluzione negli schemi di pensiero nazionali e nella storia del Vecchio continente. Vorrebbe dire andare oltre le idee normative dell’Europa che danno il primato all’economia, al commercio e alla finanza.
“L’Europa non è solo un mercato. Implicitamente, da decenni, ci si comporta come se l’Europa fosse un mercato unico. Ma tra di noi non abbiamo pensato all’Europa come uno spazio politico finito. La nostra moneta non è completa. Fino agli accordi di quest’estate, non avevamo un vero bilancio e una vera solidarietà finanziaria. Non abbiamo pensato fino in fondo alle questioni sociali che ci rendono uno spazio unitario. E non abbiamo pensato abbastanza neanche a ciò che ci rende una potenza nel concerto delle nazioni: una regione altamente integrata con un chiaro carattere politico. L’Europa deve ripensarsi politicamente e agire politicamente per definire obiettivi comuni che non siano semplicemente una delega del nostro futuro al mercato”.
Tuttavia, sembrerebbe ancora prematuro parlare di sovranità europea. Il presidente francese attualmente preferisce la nozione di “autonomia strategica”.
“E’ possibile arrivare a parlare di sovranità europea, come ho fatto io stesso? E’ un termine un po’ eccessivo, lo ammetto, perché se ci fosse una sovranità europea, ci sarebbe un potere politico europeo pienamente consolidato. Non siamo ancora a quel punto. C’è, è vero, un Parlamento europeo che difende la rappresentanza dei cittadini europei, ma ritengo che queste forme di rappresentanza non siano del tutto soddisfacenti. E’ d’altronde per questo motivo che avevo difeso con forza l’idea delle liste transnazionali, cioè l’emergere di un vero e proprio demos europeo che potesse essere organizzato, non in ogni paese e in ogni famiglia politica al suo interno, ma in modo più trasversale. Spero che le prossime elezioni ci consentano di realizzarlo. Se volessimo una sovranità europea, avremmo probabilmente bisogno di leader europei pienamente eletti dal popolo europeo. Questa sovranità è quindi, se così posso dire, transitiva. Ma tra quello che stanno facendo la Commissione, il Consiglio dove siedono i leader eletti dal loro popolo e il Parlamento europeo, sta emergendo una nuova forma di sovranità, che non è nazionale, ma europea”.
"Le classi medie delle democrazie europee e occidentali hanno vissuto il cambiamento come sinonimo di sacrificio"
5. Autonomia strategica europea
Secondo il presidente Macron, l’Europa deve costruire un’autonomia strategica in termini militari, tecnologici e legali. Per quanto riguarda la difesa, la vittoria di Joe Biden e il possibile ritorno a una cooperazione transatlantica più forte non dovrebbero far abbandonare all’Europa la costruzione dell’autonomia strategica.
“Ma gli Stati Uniti ci rispetteranno come alleati solo se rimarremo seri con noi stessi e se saremo sovrani con la nostra stessa difesa. Quindi penso che, al contrario, il cambiamento di amministrazione americana sia un’opportunità per continuare in modo totalmente pacifico e sereno quello che degli alleati devono capire: dobbiamo continuare a costruire la nostra autonomia per noi stessi, come gli Stati Uniti fanno per loro, e come la Cina fa per sé”.
Su questo punto le posizioni europee divergono ed Emmanuel Macron si è mostrato in disaccordo con il ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer, che aveva definito l’autonomia strategica europea come un’illusione e aveva ribadito la centralità della cooperazione transatlantica per la difesa europea.
“Sono profondamente in disaccordo, per esempio, con l’editoriale su Politico firmato dal Ministro della Difesa tedesco. Penso che si tratti di un controsenso storico. Per fortuna, la Cancelliera non è sulla stessa linea, se ho capito bene”.
Oltre alla difesa, questa autonomia strategica deve riflettersi anche in termini tecnologici. In particolare sono stati citati lo sviluppo di di soluzioni per l’archiviazione dei dati e del 5G a livello europeo.
“Quando si tratta di tecnologia, l’Europa deve costruire le proprie soluzioni in modo da non dipendere dalla tecnologia americana o cinese. Se ne dipendiamo, ad esempio nel settore delle telecomunicazioni, non possiamo garantire ai cittadini europei la segretezza delle informazioni e la sicurezza dei loro dati privati, perché non disponiamo di questa tecnologia. In quanto potenza politica, l’Europa deve essere in grado di fornire soluzioni in termini di cloud, altrimenti i nostri dati saranno archiviati in uno spazio che non è sottoposto alla sua legislazione, che è poi la situazione attuale. […] Per quanto riguarda la tecnologia, le cose sono cambiate da quando abbiamo lanciato l’idea del 5G europeo, e la Germania si sta avvicinando a noi su questo tema”.
Infine, l’autonomia strategica deve essere affermata in campo giuridico.
“Lo stesso vale per l’extraterritorialità del dollaro, che è un dato di fatto e non è una novità. Meno di dieci anni fa, varie aziende francesi sono state penalizzate per diversi miliardi di euro perché avevano operato in paesi vietati dal diritto statunitense. In termini pratici, questo significa che le nostre imprese possono essere condannate da potenze straniere quando operano in un Paese terzo: è una privazione della sovranità, della possibilità di decidere da soli, è un immenso indebolimento”.
6. Difendere i valori europei
Per il presidente della Repubblica esiste un substrato europeo comune che consente di definire i valori comuni, nonostante le diversità dei paesi del continente.
“Penso che siamo un’area geografica coerente in termini di valori, in termini di interessi, e che è bene difenderla in sé. Siamo un’aggregazione di popoli e culture diverse. Non esiste una tale concentrazione di così tante lingue, culture e diversità in nessun altro spazio geografico. Eppure, qualcosa ci unisce. Del resto, sappiamo di essere europei quando usciamo dall’Europa. Sentiamo le nostre differenze quando siamo tra europei, ma proviamo nostalgia quando lasciamo l’Europa”.
Agli occhi di Emmanuel Macron, l’universalità dei valori che costituiscono l’idea e la storia europea oggi sono in crisi. Non si tratta soltanto di una crisi delle istituzioni del 1945, ma si una crisi culturale. Quindi, bisogna recuperare di nuovo questi valori contro contro l’islamismo radicale. Ma bisogna stare attenti a non combattere la battaglia sbagliata: il nemico non è un’altra civiltà ma l’oscurantismo.
“La lotta contro il terrorismo e l’islamismo radicale è una lotta europea, una lotta per i valori. Ed è una lotta alla nostra altezza: credo che, in fondo, la lotta contemporanea sia contro la barbarie e l’oscurantismo. Questo è ciò che sta accadendo. Non è affatto uno scontro di civiltà, non mi riconosco per nulla in questa lettura delle cose perché non è un’Europa cristiana che si schiera contro il mondo musulmano, una fantasia verso cui alcuni vogliono trascinarci.
E’ un’Europa che ha radici giudaico-cristiane, questo è un dato di fatto, ma che ha saputo costruire due cose: la coesistenza delle diverse religioni e la secolarizzazione della politica. Sono due importanti conquiste dell’Europa. E’ proprio questo che ha reso possibile il riconoscimento del primato dell’individuo razionale e libero e, di conseguenza, il rispetto tra le religioni”.
7. Una nuova partnership
Europa-Africa
Per il presidente, Europa e Africa condividono un destino comune e stanno vivendo crisi simili, tra queste il terrorismo islamista occupa una parte fondamentale. Tra le grandi crisi del 2020, il presidente cita quella del terrorismo.
“L’avete detto voi stessi: il 2020 è stato costellato di crisi. Quella, chiaramente, dell’epidemia di Covid-19 e quella del terrorismo, che negli ultimi mesi è tornato a colpire con grande forza in Europa, ma anche in Africa. Penso in particolare a quel terrorismo definito islamista, ma che in realtà è perpetrato in nome di un’ideologia che distorce una religione.
Il terrorismo è un fenomeno che colpisce tutti: non dobbiamo dimenticare che oltre l’80 per cento delle vittime del terrorismo islamista proviene dal mondo musulmano, come si è visto anche in Mozambico nei giorni scorsi”.
Di fronte alle sfide e a questo destino comuni, Emmanuel Macron propone una partnership tra Europa e Africa caratterizzata da una uguaglianza effettiva.
“Questa rifondazione deve basarsi su un’Europa molto più unita dal punto di vista geopolitico e che coinvolga l’Africa come partner, su un piano di assoluta parità. Lo abbiamo fatto sulla lotta contro la desertificazione a Nairobi. Lo abbiamo fatto anche quando abbiamo assunto la presidenza del G7: abbiamo creato coalizioni di attori per ridurre il trasporto marittimo internazionale, per ridurre gli idrofluorocarburi, e costruendo un G7 con i paesi africani”
Il vaccino contro il Covid-19 sarà il simbolo di questa nuova partnership tra Europa e Africa.
“Quando il virus è arrivato, avevamo una sola paura: se il virus arriva in Africa e in altri paesi poveri, come faranno? Se non abbiamo altra soluzione che chiudere i nostri paesi, come faranno a vivere? Abbiamo subito inaugurato un Ufficio dell’Unione Africana, online, con diversi leader, prima di portare la loro voce in Europa e nel G20. E abbiamo strutturato questa iniziativa, Act-A, con l’Unione africana, l’Unione europea, le altre potenze del G20 e l’Oms per permettere di finanziare il miglioramento dei sistemi di assistenza primaria, e soprattutto per garantire che il vaccino sia un bene pubblico mondiale e che siamo in grado di produrne abbastanza da poterlo fornire ai paesi più poveri. Abbiamo ogni volta soluzioni, ma occorre costruire le innovazioni necessarie per ciascuno di questi temi”.
8. Cambiare prospettiva nei confronti dell’Africa
Con la trasformazione dell’Europa nella “prima potenza educativa, sanitaria, digitale e verde” e la “lotta per i valori”, l’asse afro-europeo è la terza grande parte del sogno europeo del presidente.
“Il terzo grande progetto europeo, è il cambiamento di prospettiva nei confronti dell’Africa e la reinvenzione dell’asse afro-europeo. È la lotta di una generazione, ma credo che sia fondamentale per noi. L’Europa non avrà successo se l’Africa non avrà successo. Questo è evidente. Lo vediamo quando non riusciamo a creare sicurezza, pace o prosperità attraverso la migrazione. Lo vediamo perché l’Africa è nelle nostre società. Abbiamo una parte di Africa in tutte le nostre società e viviamo in sintonia. E quando dico Africa, intendo in senso lato l’Africa e la regione mediterranea”.
Secondo Emmanuel Macron, bisogna uscire dal prisma puramente migratorio con cui viene percepita l’Africa. Questo però significa attuare una riforma della politica migratoria per evitare quella che il presidente chiama “un uso profondamente indebito del diritto di asilo”.
“In sostanza, oggi, cosa potrebbe complicare ulteriormente il rapporto dell’Europa con l’Africa? Le migrazioni, ecco cosa. Il problema è che noi guardiamo all’Africa solo attraverso questa lente. Penso che sia un errore. Bisogna rettificarlo, in alcuni ambiti. Oggi assistiamo ad un uso profondamente indebito del diritto d’asilo, che perturba tutto il resto. Gruppi di trafficanti, che spesso sono anche trafficanti di armi e di droga e sono legati al terrorismo, hanno organizzato la tratta di esseri umani. Offrono una vita migliore in Europa e utilizzano canali che si avvalgono del diritto d’asilo. Ci sono centinaia di migliaia di uomini e donne che ogni anno arrivano sul nostro territorio, che vengono da paesi in pace, con cui abbiamo ottimi rapporti e a cui riconosciamo centinaia di migliaia di visti ogni anno: questo non è diritto di asilo. O meglio, nel 90 per cento dei casi, non si tratta di diritto di asilo. C’è chiaramente un abuso. C’è tensione su questo tema. Questa situazione deve essere risolta attraverso un dialogo con l’Africa, che abbiamo avviato nel 2017-2018 e che ora dobbiamo rilanciare con molto impegno”.
Questo cambiamento di prospettiva nei confronti dell’Africa deve essere visto come una vera rottura storica con il nostro passato afro-europeo.
“Dico questo perché non credo che avanzeremo o che risolveremo i nostri problemi rimanendo imprigionati dalla nostra storia. Io stesso ho avviato un importante lavoro di memoria e politico in particolare per quanto riguarda l’Algeria, ma vedo nella nostra storia come un ritorno del risentimento e della repressione in cui confluiscono le questioni più disparate: la post-decolonizzazione, le questioni religiose, economiche e sociali che creano una forma di incomunicabilità tra Europa e Africa. Penso che dobbiamo sciogliere questi nodi, ma soprattutto dobbiamo abbracciare l’Africa con molta più forza nella capacità che le diamo di svilupparsi autonomamente, sostenendola e restituendo orgoglio alle diaspore di origini africane che vivono nei nostri paesi per renderle fermenti centrali di questa opportunità, non problemi come troppo spesso le vediamo”.
"Ci sarà una diplomazia dei vaccini, il che vorrà significa che tutti vorranno sventolare la bandiera e dire: sono io che l'ho scoperto"
9. Un’ecologia realista
Per il presidente Macron, oggi la svolta ecologista è essenziale ma non può mettere in discussione i diritti umani.
“Penso che la lotta contro il cambiamento climatico e quella per la biodiversità sia centrale nelle scelte politiche che dobbiamo fare. Ciò non significa che sia irrevocabilmente fondamentale. Come ho già detto, non sono favorevole a un diritto della natura che sarebbe superiore ai diritti umani. Ma penso che non possiamo più pensare ai diritti umani senza pensare a queste interazioni, a queste conseguenze. (…) Siamo noi gli sfortunati, siamo noi che dobbiamo affrontare la realtà in tutte queste tensioni. Questo tema è stracolmo di tensioni”
Non dovremmo credere, afferma, che la transizione ecologica avverrà dall’oggi al domani o che sarà facile mettere in discussione il nostro stile di vita. In effetti, la transizione ecologica è incomprensibile per la maggior parte dei cittadini, in particolare per la classe media.
“Prendiamo l’esempio di una famiglia francese, che ha fatto tutto quello che le è stato chiesto per trent’anni. Le è stato detto: ‘Devi trovare un lavoro’ – ha trovato un lavoro. Le abbiamo detto: ‘Devi comprare una casa’ – ma una casa è troppo costosa nella grande città, così l’ha comprata a 40, 50, 60 chilometri dalla grande città. Le è stato detto: ‘Il modello del successo è avere ciascuno la propria auto’ – ha comprato due auto. ‘Siete grandi inquinatori, avete una casa mal isolata, avete una macchina e la guidate per 80, 100, 150 chilometri. Il nuovo mondo non vi ama’. La gente impazzisce! […] Le classi medie delle democrazie europee e occidentali hanno vissuto il cambiamento come sinonimo di sacrificio”.
Emmanuel Macron ritiene quindi che la trasformazione della mobilità, attraverso il simbolo dell’auto, sia la chiave di volta della transizione ecologica. Ma si tratta fondamentalmente di un argomento antropologico, che va ripensato su scala rilevante.
“Poi c’è tutto un lavoro, direi politico, nel senso nobile, antropologico del termine, che è quello di coinvolgere le nostre società in questo cambiamento e farne degli attori. E infine, c’è la necessità di adeguare tutta la nostra agenda. […]. Per fare in modo che la transizione sia un successo, voglio anche che vengano approvate delle regole a livello dell’Europa e dei mercati finanziari – come siamo già riusciti a fare su questioni prudenziali o finanziarie – che penalizzino gli investimenti nei combustibili fossili e invece favoriscano gli investimenti nel settore verde”.
10. La diplomazia del vaccino
Emmanuel Macron descrive il metodo utilizzato per allineare tutti gli attori nella ricerca sui vaccini, che segna un aggiornamento dell’approccio multilaterale che non sarebbe limitato ai soli stati.
“Per quanto riguarda la salute, in effetti, tra Act-A e la strategia Covax che abbiamo lanciato, abbiamo riunito attorno al tavolo organizzazioni internazionali, come l’Oms, stati, potenze regionali, come l’Unione Europea e l’Unione Africana, abbiamo messo a disposizione fondi settoriali, come Unitaid e Gavi, abbiamo portato fondazioni private, come la Gates Foundation, e attori industriali e laboratori pubblici che lavorano sui progetti. E’ completamente ibrido, ma con una governance affidata all’Oms per garantire che non ci siano conflitti di interesse, perché l’Oms è il garante di un sistema che non permette al settore privato di decidere le regole per tutti”.
Emmanuel Macron sottolinea il rischio di una deviazione delle scoperte di vaccini per fini egemonici e pone la sua azione politica sotto il segno della sfiducia. Il vaccino potrebbe non essere quel famoso “bene pubblico globale”. Allo stesso tempo, il presidente ritiene che gli stati possano abusare del loro potere desiderando riservare il vaccino per le loro popolazioni, pur considerando che sono i “garanti dell’interesse generale”
“Ci sarà una diplomazia dei vaccini, il che significa che tutti vorranno sventolare la bandiera e dire: “sono io che l’ho scoperto”. Poi ci sarà una corsa sotto la pressione dell’opinione pubblica per poter dire il più rapidamente possibile “abbiamo il vaccino giusto”. Dovremo essere molto vigili a questo proposito. E fare attenzione: saranno state seguite tutte le regole scientifiche e le dovute diligenze? Sono i nostri scienziati di Stato a poterlo dire e quelli dell’Oms, perché non hanno alcun conflitto di interessi. Non dimentichiamo mai ciò che abbiamo costruito: lo stato è il garante dell’interesse generale. Questo non può essere delegato. E gli stati hanno un ruolo da svolgere”.
Poi, il presidente dimostra una forma di ottimismo sul metodo messo in atto nonostante il rischio di vedere i grandi attori internazionali abusare della situazione.
“Ma dietro a ciò, i negoziati che stiamo conducendo con gli stati e le imprese sono un ottimo banco di prova di questo nuovo multilateralismo. In ogni caso, avere accesso mondiale al vaccino è l’idea di bene pubblico mondiale. Non so se vinceremo questa battaglia. Perché molto chiaramente non sono sicuro che tutti i paesi vogliano impegnarsi in questo. Vedremo se la Cina è pronta, se sarà lei a scoprire il vaccino, se la Russia è pronta, se gli Stati Uniti sono pronti con la nuova amministrazione – non ero sicuro con la precedente, in realtà l’attuale – e vedremo cosa faranno le aziende. Ma qualunque cosa accada, quello che abbiamo fatto crea un quadro comune con tutti gli attori importanti intorno al tavolo: un mediatore di fiducia che è l’Oms, dei meccanismi di cooperazione, pressione reciproca. Così abbiamo la massima probabilità che quando succederà qualcosa, se uno di questi attori si comporterà male, avrà molto da perdere per un comportamento scorretto. Ma questo è il nuovo multilateralismo”.