“D’altro canto, benché molti dei contenuti della religione di Maometto siano sconosciuti alla cultura occidentale, si può argomentare che le idee morali fondamentali dell’islam non sono in nessuna maniera una contraddizione dei concetti etici e morali e della visione dell’occidente: anche l’islam prevede l’onestà, l’integrità, l’obbedienza alle leggi e la legalità come standard inviolabili del pensare umano”. Con queste parole il ministro degli Affari culturali e religiosi dell’Impero austro-ungarico, il conte Karl Stürgkh, presentava a Francesco Giuseppe il progetto di legge per fare dell’islam una delle religioni riconosciute dallo stato. Era il 5 giugno 1909: la Islamgesetz (“Legge sull’islam”) vedrà la luce nel 1912. Il provvedimento che dava riconoscimento ai musulmani sunniti di rito hanafita, e cioè ai 600 mila bosniaci annessi nel 1908 dalla corona d’Austria-Ungheria, introduceva fra l’altro il matrimonio civile e aboliva la poligamia. E già nel 1909 a Vienna si immaginava la costruzione di una moschea. Poi arrivò la Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda, le moschee in Austria sono diventate alcune centinaia. La Islamgesetz del conte Stürgkh non è però mai stata abolita e sulla base dello stesso provvedimento, nel 2013 la comunità religiosa alevita si è fatta riconoscere dal governo come organizzazione di diritto pubblico distinta dalla IGGiÖ, la principale casa dei sunniti austriaci. Nel 2015 l’allora ministro degli Esteri e dell’Integrazione Sebastian Kurz propose di riformare l’Islamgesetz licenziata 103 anni prima da Francesco Giuseppe. I recenti attacchi jihadisti a Parigi, Nizza e Vienna riaprono il dibattito sul rapporto in Europa fra stato e islam, alla ricerca di un equilibrio fra sicurezza dei cittadini, libertà di religione e lotta all’islamofobia.
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