Non si parla abbastanza di amore, ha detto Joe Biden, il presidente eletto dall’America, nel suo discorso per il giorno del Ringraziamento. “Non parliamo abbastanza di amore nella nostra politica. Amare i nostri vicini come noi stessi è un atto radicale, è quello che siamo chiamati a fare. Dobbiamo provarci”, ha detto Biden, in questo slancio salvifico che ha scandito il suo esordio presidenziale, assieme alla calma rarefatta con cui ha sedato la verbosità negazionista dei trumpiani. L’amore, la cura, la restaurazione di “quel che siamo”, come uomini e come americani, sono i pilastri su cui Biden sta costruendo la sua presidenza, pur appesantito com’è non solo o non tanto dalla riluttanza (eufemismo) di Donald Trump a dargli spazio – o anche semplicemente un ufficio – ma anche dal passato del suo partito, e dal presente. Di fronte alle prime nomine della prossima Amministrazione Biden ci siamo messi come dei piccoli chimici ad analizzare: quanto obamismo c’è, quanto clintonismo (nelle sue due versioni, marito e moglie) c’è, quanta Terza via, quanto radicalismo, quanto calcolo anche, ché il presidente Biden sa meglio di tutti noi che è più facile trovare un terreno comune con i repubblicani (i repubblicani prima di Trump almeno) che con l’ala più a sinistra del suo stesso partito. E infatti ci sono appelli e petizioni che già circolano in quella sinistra lì in cui si fa l’elenco dei “tradimenti” cui si presterà Biden e delle persone al governo che non potranno mai essere accettate. Il giorno dopo le elezioni, la tregua è finita. “Si è formata una coalizione fondata sull’opposizione a Trump, che in effetti si è dimostrato un gran costruttore di coalizioni di sinistra – dice Leon Wieseltier, intellettuale liberale che per una vita ha diretto le pagine culturali di New Republic e che ora ha lanciato una rivista che si chiama Liberties – Ma ora che Biden ha vinto, la guerra è iniziata. Uno degli sviluppi più preoccupanti nella politica americana degli ultimi decenni è stata la scomparsa della distinzione tra liberalismo e progressismo. Pure se entrambi hanno votato per Biden, non sono la stessa cosa, non lo sono intellettualmente, politicamente, storicamente” (nota: gli americani chiamano progressisti quelli che noi chiamiamo radicali di sinistra).
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