I Verdi tedeschi avevano brindato all’arrivo del 2020 in una delle fasi più entusiasmanti della loro storia. Venivano da un paio d’anni costellati da successi elettorali. Prima nelle regionali in Baviera e in Assia, nell’autunno del 2018; poi alle Europee del maggio 2019, quando si confermarono secondo partito dietro all’Union conservatrice per soli otto punti percentuali ma staccando i socialdemocratici della Spd di quasi cinque lunghezze. I due leader, Robert Habeck e Annalena Baerbock, erano ormai figure sempre più conosciute e apprezzate dai tedeschi. Lui stella mediatica, lei esperta e competente, erano riusciti a compiere un vero miracolo: far passare uno dei partiti più rissosi e litigiosi della storia tedesca per un blocco unito e coeso. Da sempre preda delle fortissime tensioni fra Fundis e Realos, cioè fra “fondamentalisti” e “realisti”, sotto la loro guida i Grünen parevano finalmente un movimento dalla voce unica, chiara e riconoscibile. Insomma, per i Verdi il 2020 sembrava destinato a essere non solo l’anno in cui festeggiare i 40 anni dalla fondazione, ma anche e soprattutto quello in cui consolidare la scalata ai vertici della politica tedesca – e perché no sognare la presa della cancelleria alle elezioni nazionali, nell’autunno del 2021.
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