I laburisti britannici hanno deciso di astenersi sulla votazione ai Comuni delle regole per il contenimento della pandemia e i conservatori si sono avventati su di loro: non hanno un’idea, non hanno una proposta, non hanno una leadership. In realtà Keir Starmer, leader del partito d’opposizione di Sua Maestà, ha deliberatamente chiesto ai suoi parlamentari di astenersi, un po’ perché litigare sui lockdown confonde, irrigidisce, alimenta complottismi di varia e pericolosa natura, e un po’ perché così si metterà a fuoco meglio l’immagine della politica inglese contemporanea: è sempre e solo una lotta intestina dei Tory. Si dirà: per forza, sono loro che governano. Certo, ma negli ultimi anni a Londra si sono decise cose che ci riguardano tutti, il divorzio più celebre e controverso della geopolitica moderna per esempio, e anche le scelte sulla pandemia, in un mondo che ha superato da decenni nella pratica i confini territoriali, hanno un effetto altrove. Eppure, questi temi giganteschi prendono forma e si distruggono sulla base degli equilibri interni del Partito conservatore inglese. La Brexit è l’esempio più calzante: accordo o non accordo entro la fine dell’anno (manca sempre il tempo a questo divorzio, come ai balli sgraziati), la Brexit del 2020 è molto diversa da quella che è stata variamente venduta dal 2016 a oggi. Quelle stesse fratture, quasi con le stesse persone, si rivedono oggi e così nella sala delle panche verdi di nuovo si va alla conta dei ribelli: quelli che sono contro ogni misura di restrizione, o contro alcune, o contro e basta.
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