Il caso Strauss-Kahn arriva su Netflix. L'interessato risponde con un controdoc
Da lunedì 7 dicembre ci potrà vedere sulla piattaforma di streaming “Chambre 2806: l’affaire Dsk” del regista francese Jalil Lespert, che riesuma con nuovi elementi anche gli altri scandali che hanno coinvolto l’ex capo del Fmi
Lui è uno degli uomini più potenti del mondo, a capo del Fondo monetario internazionale (Fmi) e tra i favoriti per diventare il presidente della Repubblica francese. Lei è una cameriera del Sofitel di New York originaria della Guinea. E’ il 14 maggio del 2011 quando le loro traiettorie si incrociano nella suite 2806 dell’hotel newyorchese. Alle 16.40 di quel giorno, Dominique Strauss-Kahn ha un volo Air France per tornare a Parigi, ma appena prima del decollo, al Jfk Airport, il detective Diwan Maharaj e i suoi agenti piombano davanti a lui, perché una certa Nafissatou Diallo lo ha appena accusato di “aggressione sessuale”: “Vorremo che ci seguisse”. Alcuni dissero che fu un’operazione dei servizi pilotata da Sarkozy e dal suo sgherro Squarcini, “le Squale” dell’intelligence parigina, per far fuori il più temibile dei rivali in vista delle presidenziali del 2012 (non servì a nulla, dato che perse comunque). Altri che era una vendetta tutta interna al Partito socialista, sferrata da chi conosceva bene le sue “addictions” e voleva fargliela pagare. Da quel giorno è iniziata la caduta rovinosa di Strauss-Kahn, un declino su cui è tornato il regista francese Jalil Lespert, con una serie-documentario in quattro episodi disponibile su Netflix a partire da lunedì 7 dicembre: “Chambre 2806: l’affaire Dsk”.
Fra le testimonianze raccolte da Lespert c’è quella di Nafissatou Diallo, la più difficile da convincere, che a settembre, però, aveva già rilasciato un’intervista a Paris Match, dicendo che l’affaire Dsk le ha “rovinato la vita” e che il prossimo anno pubblicherà un libro per raccontare la “sua” verità. Ma il regista francese riesuma con nuovi elementi anche gli altri scandali che hanno coinvolto l’ex boss del Fmi: facendo intervenire la giornalista e scrittrice Tristane Banon, che nel 2011 aveva sporto denuncia per “tentato stupro”, e l’economista ungherese Piroska Nagy, che aveva accusato Dsk di aver approfittato della sua posizione di potere per ottenere favori sessuali. Nel quarto episodio, c’è spazio anche per l’“affaire Carlton”, dal nome dell’hotel di Lille dove tra il 2008 e il 2011, Strauss-Kahn partecipava a festini a luci rosse con miriadi di escort selezionate dall’amico e prosseneta Dominique Alderweild, detto “Dodo la Saumure”. “E’ l’affaire Dsk che ha lanciato il movimento #MeToo”, dice una delle intervistate nel trailer di “Chambre 2806”, diffuso lunedì scorso da Netflix.
Secondo il produttore del documentario, Philippe Levasseur, a capo della società Capa, “l’affaire Dsk è stato molto più che un fatto di cronaca, è stata una storia di liberazione della parola delle donne”, come si è visto con “le manifestazioni delle donne di servizio e dei movimenti femministi a New York, nonché l’intervento delle Femen in occasione del processo del Carlton di Lilla”. Lespert aveva sollecitato senza esito positivo anche il diretto interessato per avere la “sua” versione dei fatti. Versione che Strauss-Kahn fornirà invece in una specie di contro-documentario che uscirà nell’autunno del 2021, come annunciato ieri su Twitter. “Per la prima volta, ho accettato in un documentario di ripercorrere tutta la mia storia personale e professionale, dalla politica francese alle sfere internazionali”, ha scritto su Twitter Dsk, prima di aggiungere: “Non ho mai dato la mia versione dei fatti che hanno segnato il mio ritiro dalla vita politica, altri si sono incaricati di farlo al posto mio, prendendo la parola a partire da ritagli di giornale, interviste e fatti reali o presunti. E’ giunta l’ora di esprimermi”.