Quando il gioco si fa duro, l’Unione europea non è ancora pronta a giocare nel campo dei grandi della politica estera. Ancora di meno se in gioco ci sono gli interessi del suo principale stato membro, la Germania, ma anche di paesi meno influenti come l’Italia, la Spagna o Malta. Lo dimostra quanto accaduto nella notte tra giovedì e venerdì al Consiglio europeo sulla Turchia. I capi di stato e di governo erano chiamati a dar seguito alla loro minaccia di sanzioni nei confronti di Recep Tayyip Erdogan, dopo che il presidente turco ha ostensibilmente rifiutato la mano tesa dell’Ue continuando con le sue provocazioni e azioni unilaterali. Il Consiglio di ottobre aveva proposto a Erdogan un’agenda positiva, in cambio di un passo indietro nelle rivendicazioni territoriali contro Grecia e Cipro nel Mediterraneo orientale e un atteggiamento più cooperativo su Libia e Siria. Altrimenti l’Ue sarebbe passata all’azione con misure punitive in dicembre. Il governo greco, sostenuto dalla Francia, aveva chiesto un embargo sulle armi. C’era la possibilità di adottare anche sanzioni generali e settoriali. Alla fine, dopo lunghe discussioni e tre bozze di conclusioni, la scorsa notte il Consiglio europeo si è messo d’accordo per delle “sanzionette”, come le definisce un diplomatico dell’Ue: delle imprese o dei responsabili turchi saranno inseriti in una lista nera che esiste già per le trivellazioni illegali condotte nelle acque al largo di Cipro e Grecia. L’agenda positiva resta sul tavolo. E se ne riparlerà a marzo 2021.
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