L'iraniana Nasrin ci mostra come si combatte l'oppressione ogni giorno un po'
E’una donna minuta, Nasrin Sotoudeh. Ama l’arte e la letteratura, come tutti le capita di compulsare freneticamente il telefono, ma nutre un attaccamento quasi romantico nei confronti della carta. E’ sposata, ha due figli, sorride molto, lo fa anche quando è difficile, quando agli altri pare quasi impossibile, porta i capelli castani tagliati corti e ultimamente inforca spesso gli occhiali, un po’, perché in carcere le si è abbassata la vista, e un po’, perché ha 57 anni, anche se non li dimostra. Di lei dicono che è un’icona, che merita il Nobel, che è un incrocio tra Gandhi e Nelson Mandela, ma quando arrivano gli encomi lei sorride, scrolla le spalle e si schermisce: “Sono solo una persona che svolge il suo lavoro”.
Nasrin è un avvocato iraniano. Da due decenni, difende giornalisti, dissidenti, bahai e membri di altre minoranze, manifestanti, bambini abusati, minorenni condannati a morte e ragazze che, per protesta, si levano il velo e agitano i capelli nel vento. Sono le cause che non vuole nessuno, perché sono quasi sempre cause perse in partenza, cause che rischiano di portare guai a chi le accetta. E, di guai, Nasrin ne ha passati parecchi.
Il primo arresto risale al 2010. All’epoca rappresentava alcuni dei ragazzi imprigionati dopo le manifestazioni dell’estate 2009, quelle scoppiate in seguito alla fraudolenta rielezione alla presidenza di Mahmoud Ahmadinejad. L’accusa la tacciava di aver “disseminato propaganda” contro il regime e di aver agito “contro la sicurezza nazionale”, ma durante gli interrogatori quello che pretendevano da lei era il silenzio, la rinuncia di quei maledetti casi e insieme la sconfessione dei diritti che rappresentavano. Se stai zitta, torni casa, le ripetevano. “Non ti mancano i tuoi figli?”. A Nasrin i figli mancavano moltissimo. Ha raccontato di aver pianto per ore dopo aver incontrato la mano del figlio attraverso il vetro della prigione. “Mamma perché non torni?”, le ha chiesto il piccolo Nima e lei non ha potuto fare altro che raccontargli che quel giorno non poteva, ma che sarebbe accaduto presto. Un’altra volta, nel corso di un colloquio con la figlia maggiore Mehraveh, le autorità hanno iniziato a distribuire i “fogli del perdono”, sarebbe stato sufficiente ammettere la colpa per riavere la libertà. Nasrin era molto agitata, per un momento, ha vacillato, ma Mehraveh l’ha guardata negli occhi e le ha sussurrato: “Non ci pensare nemmeno”.
Nel 2013 Nasrin è stata liberata. E’ accaduto sull’onda di una grande mobilitazione internazionale, culminata con il conferimento del premio Sakharov. Hassan Rohani era presidente da pochi e l’annuncio della liberazione della prigioniera politica più amata del paese era la presentazione ideale in vista della sua prima apparizione all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Forse le autorità si illudevano che, a quel punto, Nasrin avrebbe tenuto un profilo basso, ma non è accaduto. Nel 2018 Nasrin è stata trascinata dentro un taxi verde diretto alla prigione di Evin, stavolta accusata di aver incoraggiato “la prostituzione e l’immoralità”. La nuova sentenza comminata in absentia, la condanna a 38 anni di carcere e 148 frustrate.
“In un regime – spiega il filosofo Ramin Jahanbegloo – ti abitui alla reticenza, a girare attorno alle cose, a chinare la testa. L’esempio che ci offre Nasrin è quello di una straordinaria maturità civica, un esempio potente di verità. La sua vita testimonia il primato dell’etica sulla politica, della giustizia sulla legge”.
Alla verità eccezionale e disarmante di Nasrin e di tutte le Nasrin dentro e fuori dalle prigioni iraniane, il regista Jeff Kauffman ha dedicato il documentario “Nasrin”, che esce online in questi giorni, in cui figurano il regista Jafar Panahi, la giornalista Ann Curry, l’attivista Mansoureh Shojaee e soprattutto il marito di Nasrin, Reza Khandan, uomo schivo e semplice, animato dalla stessa determinazione, dalla sua stessa fulgida “normalità”. “Nasrin – la donna e il documentario – vi farà arrabbiare e sperare. Dovete vedere questo film”, ha detto Gloria Steinem. “Nasrin è una donna e uno straordinario esempio di coraggio” ha aggiunto Margaret Atwood.
La storia di Nasrin è una storia molto iraniana, la storia di una generazione di uomini e di donne che non smettono di credere che sia possibile cambiare, vincere un po’ ogni giorno contro l’oppressione, ma è anche una storia universale, perché i diritti umani non sono numeri e statistiche vuote, ma volti e desideri, madri e padri, mani che si cercano di là da un vetro, figli, sorelle e genitori, mariti che accompagnano mogli innocenti in carcere e tornano a casa sognando i loro passi, le loro voci.