Infine l’accordo Brexit tra Londra e Bruxelles si è trovato, nonostante il ritardo, gli scontri, l’altalena degli umori e delle speranze che andava talmente forte da far venire da vomitare un po’ a tutti. I rapporti commerciali tra il Regno Unito e l’Unione europea saranno ordinati e regolamentati, come volevano di certo gli europei ma anche gli inglesi, questi ultimi soltanto quando erano al riparo da microfoni e telecamere. Da giorni, c’era un sostanziale consenso su quasi tutto, tranne che sulla famigerata pesca – ve li ricordate i pesci sventolati da Nigel Farage e Boris Johnson nelle loro intemerate brexitare? Ecco, forse l’unica cosa che avevano davvero compreso è che saremmo finiti a litigare sui merluzzi – ma il valore commerciale della discordia era talmente piccolo rispetto al resto – 750 milioni di euro – che si è lavorato a un compromesso. Anzi, Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea che ha preso la guida delle trattative negli ultimi giorni e ha passato parecchio e fruttuoso tempo al telefono con il premier Johnson, a un certo punto aveva detto: non so se troviamo l’accordo sull’accesso dei pescatori europei alle acque britanniche, ma facciamo come se l’avessimo trovato. Come a dire: se mancano solo i merluzzi, per me è fatta.
Non sappiamo e forse non sapremo mai quanto hanno impattato su questa ultima, salvifica accelerazione le immagini dei camion fermi nel Kent e, dall’altra parte della Manica, in Francia. La Brexit in realtà non c’entrava: Parigi ha chiuso la frontiera per evitare che il coronavirus mutato nel Regno Unito circolasse in Europa.
Ma inevitabilmente la chiusura ha preso il sapore di un assaggio della Brexit, anzi: della hard Brexit. E infatti ieri mattina i giornali inglesi pro Brexit erano pieni di rancore nei confronti di Emmanuel Macron e della Francia — capofila, come quasi sempre, il Sun murdocchiano che chiamava il presidente francese “Covidiot”. Molti hanno preso la scelta macroniana di chiudere la frontiera non come una misura anti pandemia ma come una vendetta: poiché l’Ue non ha seguito la linea Macron sulla Brexit, che era una linea dura già nel 2019, Macron si prende una piccola, punitiva rivincita facendo vedere agli inglesi che cosa significa non mettersi d’accordo con gli europei.
Vendetta o paura, chissà. Ma il problema della Brexit, fin dall’inizio, è stato che nessuno sa cosa voglia dire per davvero un divorzio fino a che non ti ci ritrovi in mezzo: era accaduto con il primo negoziato, è accaduto anche con il secondo. Originariamente era accaduto con il referendum del 2016: s’è votato a favore dell’euroscetticimo, non della Brexit per se stessa, visto che allora nessuno sapeva bene che cosa fosse e lo stesso Johnson immaginava ponti futuristici a collegare Irlanda e Regno Unito come soluzione finale di grandezza britannica. Le code alla frontiera di questi giorni, con la beffa delle multe su alcuni parabrezza dei camion, hanno avuto il merito di mostrare in modo esplicito l’assenza di un accordo: la paralisi. E oggi c’è sempre la Lufthansa che organizza voli speciali per far arrivare frutta e verdura, mentre con l’hard Brexit no. Così come ora non si sta sperimentando l’effetto degli eventuali dazi previsti dalla Wto, per cui non soltanto hai meno prodotti da acquistare ma costano pure sensibilmente di più.
In fondo abbiamo visto soltanto il traffico dei camion, ma forse è stato sufficiente. Per dimostrare che una Brexit senza accordo non conviene a nessuno e per dimostrare che la forza costruttiva dell’Unione europea ha avuto la meglio sulle fantasie britanniche e nazionaliste, anche quelle più spinte.
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