Il governo di unità nazionale tra il Likud di Benjamin Netanyahu e Blu e bianco di Benny Gantz scricchiolava da quando è nato. Era maggio, il premier, Bibi, e il vicepremier, Benny, nella foto con il presidente Rivlin sorridono, ma l’espressione è molto diversa. Netanyahu aveva l’aria irrequieta di chi aveva fretta, di chi aveva bisogno di quel governo per iniziare a governare. Gantz aveva un sorriso preoccupato che non l’ha mai abbandonato, fino alla fine definitiva del governo. La Knesset si è sciolta tra martedì e mercoledì a mezzanotte, e i due avevano la stessa identica espressione di maggio: Gantz preoccupatissimo, Netanyahu irrequieto, pronto a lanciarsi nella sua prossima campagna elettorale. Per lui il voto – Israele è arrivata alla quarta elezione in due anni – è un momento, una virgola tra una sua maggioranza e l’altra, perché la sua carriera va avanti con i suoi progetti, i suoi processi, i suoi accordi, la lunga lista delle cose da fare e il suo partito. Del Likud Netanyahu non è più soltanto il leader, è il padrone di casa. Il Likud è Netanyahu, si è lasciato travolgere e inglobare nella personalità del primo ministro che governa Israele dal 2009. Netanyahu nei suoi undici anni di governo quell’aria irrequieta non se l’è mai tolta dal viso e adesso sembra ancora più marcata, ora che, un’elezione dopo l’altra, il numero dei suoi sfidanti cresce. Il Likud per governare ha bisogno di alleanze e non c’è più nessuno dentro alla Knesset disposto a coalizzarsi con Netanyahu per un altro governo di unità nazionale. O meglio, non c’è più nessun grande partito disposto a farlo, visto che ormai, dopo l’esperimento di Gantz, è chiaro a tutti che il premier il suo posto non lo lascerà mai. Ha un problema di fiducia, lo sa, ma il voto per lui è una virgola, e per il momento il 23 marzo, data delle prossime elezioni, non pare preoccuparlo.
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