dall'archivio
Assange non sarà estradato
Letture foglianti per ripercorrere il caso del fondatore di Wikileaks, "eroe" della trasparenza in malafede: agente del disordine, o utile idiota? Dalla campagna contro Hillary Clinton alla fuga nell'ambasciata ecuadoregna, dall'arresto fino alla sentenza di oggi a Londra
Un tribunale britannico ha deciso oggi che il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, non dovrà essere estradato negli Stati Uniti dove è accusato di spionaggio per aver divulgato documenti confidenziali. In America il 47enne Assange deve rispondere di 17 capi di imputazione per spionaggio informatico e un capo di accusa per pirateria informatica. Era stato arrestato l'11 aprile 2019 a Londra, immediatamente dopo il ritiro dell’asilo da parte dell’Ecuador. Aveva trascorso i sette anni precedenti all'interno dell'ambasciata ecudaoregna nella capitale britannica. Negli Stati Uniti, Assange rischiava una condanna a 175 anni di reclusione da scontare in "condizioni amministrative speciali", versione particolarmente rigida del confinamento solitario. I suoi avvocati hanno sostenuto che l'intera accusa è motivata politicamente e che la sua estradizione avrebbe rappresentato una grave minaccia per il lavoro dei giornalisti. Nell'udienza all'Old Bailey di Londra, il giudice Vanessa Baraitser ha respinto quasi tutti gli argomenti del team legale di Assange, ma ha detto di non poterlo estradare perché c'è il rischio reale di suicidio. "Di fronte a condizioni di isolamento quasi totale ... sono convinta che le procedure (delineate dalle autorità statunitensi) non impediranno al signor Assange di trovare un modo per suicidarsi", ha detto Baraitser.
Abbiamo raccolto alcune letture foglianti, per ripercorrere il caso Assange.
Wikileaks è un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che pubblica documenti coperti da segreto di stato, militare, industriale, bancario ricevuti in modo anonimo, grazie a un contenitore protetto da un potente sistema di cifratura. Il paladino dei populisti non è un giornalista, ma ha un’agenda politica precisa. Si vede anche da chi lo difende. Il ruolo di Wikileaks e di Assange è sempre stato ambiguo e pieno di ombre, ma almeno c’era ancora qualche scarno materiale per consentire ai suoi sostenitori di dire: Assange è un paladino della libertà e della trasparenza. Ma tutte le scuse sono crollate quando Assange si è rivelato un fan esplicito dei governi autoritari, dalla Russia ai regimi latinoamericani, quando ha cominciato a diffondere fake news per evitare di rivelare i suoi coinvolgimenti equivoci, e soprattutto quando ha diretto Wikileaks per fare da megafono e diffusore di una campagna d’intelligence del Cremlino volta a destabilizzare la democrazia americana. Delle due l’una: o Assange è lui stesso un agente del disordine, oppure è un utile idiota. Lo stesso vale per i suoi sostenitori, che ancora ieri dopo il suo arresto inneggiavano all’eroe della trasparenza: lo fanno o per malafede o per ingenuità.
L’atto di incriminazione di 12 membri dell’intelligence russa reso noto nel luglio 2018 dal dipartimento di Giustizia per il furto di documenti dai computer del Partito democratico americano durante le ultime elezioni presidenziali è la prova definitiva che Wikileaks non è il bastione del giornalismo libero che molti avevano sperato fosse: è tutto il contrario. Quando, nel luglio del 2016, Wikileaks cominciò a pubblicare più di 20 mila email trafugate dai computer del Democratic national committee, l’organizzazione guidata da Julian Assange fece passare l’operazione come una grande opera di trasparenza e accountability del potere: le nostre fonti ci hanno consegnato materiale scottante, diceva Assange, noi lo rendiamo pubblico senza pregiudizi e con equanimità. Al tempo, migliaia di giornalisti ci cascarono. L’incriminazione dimostra, al contrario, che fin dall’inizio Wikileaks si prestò consapevolmente a una campagna manipolata ad arte per distruggere uno dei due candidati (Hillary Clinton) ed elevarne un altro (Donald Trump), in linea con l’agenda politica personale di Assange. Non ci sono prove dirette di collusione con i russi ma c’è un’aggravante: i documenti sono prova certa di malafede. Assange parlava di trasparenza mentre intorbidiva i fatti, predicava rigore giornalistico mentre perseguiva la sua agenda politica personale, si faceva osannare come paladino della verità mentre diffondeva fake news e teorie del complotto.
Ma quale ansia della verità. Gli adoratori di Assange hanno esaltato in nome della libertà di stampa una solenne turlupinatura, la favola losca di un agguato politico-elettorale. L'analisi di Giuliano Ferrara
Dai trojan ad Assange fino a Rousseau: l’orrore dei nuovi sicari della privacy. Perché una società incapace di mandare a quel paese i nuovi truffatori della trasparenza è una società che non sa più difendere i valori non negoziabili di una democrazia. Un'analisi di Claudio Cerasa