Il Tony Blair Institute ha pubblicato uno studio che traduce in termini tecnici l’intuizione: la cosiddetta strategia “first dose to many”. Nell’introduzione si legge chiaro: “Il governo ha fatto sua questa raccomandazione”, e così i blairiani fanno un passo ulteriore, altre “raccomandazioni per accelerare fortemente il programma di vaccinazione”
Quando Tony Blair, ex premier britannico con un’idea su tutto, aveva scritto sull’Independent a dicembre che per far funzionare la campagna di vaccinazione era necessario andare molto veloci e in massa sulla prima dose, era scoppiato il putiferio. C’entra il poco amore nei confronti di Blair che è una costante nel Regno Unito, ma c’entra anche il fatto della competenza: pure i commentatori meno ostili nei confronti dell’ex premier (qualcuno c’è) dicevano che nella smania di voler avere un posizionamento o un trampolino a tutti i costi, Blair si era avventurato in un terreno non suo e quindi non poteva che sbagliarsi. Per di più allora, la questione del giorno non erano le dosi quanto piuttosto il fatto che gli inglesi a un passo dalla Brexit si fossero presi per primi (hanno regole di certificazione meno stringenti rispetto a quelle europee) il vaccino europeo. Qui sul continente gli “exitari” si agitavano: vedete, gli inglesi sì che hanno capito tutto (solitamente gli exitari sono anche quelli che non si vogliono vaccinare, ma guai a sprecare una polemica per un pochino di coerenza), mentre sull’isola il secchione-visionario Blair faceva un paio di calcoli. Il risultato a lui appariva evidente: bisognava dilatare i tempi della seconda dose e impegnarsi a somministrare la prima dose a più gente possibile in modo da poter iniziare a introdurre un livello di immunizzazione utile per poter ricominciare a parlare di pseudonormalità.
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