Da quando è stato eletto Trump abbiamo preso a interrogarci sulla tenuta della democrazia americana, sugli anticorpi di un sistema forgiato nell’Ottocento e quindi pieno di crepe e di inefficienze. Ci siamo divisi in catastrofisti e in idealisti, tutti con le loro falle e ingenuità, e nella notte tra il 6 e il 7 gennaio del 2020 in poche ore ci siamo ritrovati uno di fronte l’altro
La mattina dopo l’elezione di Donald Trump nel 2016, il presidente uscente Barack Obama, nel giardino delle rose della Casa Bianca, iniziò il suo discorso dicendo: “Indipendentemente dal vostro voto, indipendentemente dal fatto che il vostro candidato abbia vinto o perso, il sole alla mattina sorgerà di nuovo”. Il sole è risorto anche ieri mattina, dopo l’assalto al Congresso americano, dopo quelle ore di caos e oscenità, la notte nera della democrazia americana, l’anarchia e lo svilimento dei luoghi di quella democrazia. Il sole è risorto con la certificazione della vittoria del presidente eletto Joe Biden, dopo che il Congresso si è riunito e ha votato nonostante le violazioni e le razzie: l’insurrezione è finita ed è fallita, Donald Trump si è impegnato per una “transizione ordinata” il 20 gennaio, perché l’azione del Congresso “rappresenta la fine del più grande primo mandato della storia della presidenza”. Trump non si è congratulato con Biden, ha ribadito il suo “disaccordo totale” nei confronti dell’esito elettorale, non ha potuto nemmeno twittare la sua resa a denti stretti perché il suo account è stato bloccato, ma il processo democratico non prevede che lo sconfitto sia d’accordo, prevede semmai che lo siano i cittadini che hanno votato e le istituzioni che li rappresentano.
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