Il problema di spiegare come poche migliaia di rivoltosi disarmati abbiano invaso il Congresso nella capitale della nazione che spende per la sicurezza più di chiunque altro non è stato ancora risolto. Abbiamo dei frammenti ma non abbiamo ancora il quadro intero. Sappiamo che c’era un apparato di sicurezza che prendeva decisioni e reagiva in tempo reale durante l’irruzione, ma non è stato abbastanza rapido da prevenire il peggio. Dentro i trumpiani si scattavano foto nei luoghi simbolo della democrazia e imbrattavano con le loro feci alcuni uffici, fuori c’era una sequenza rapida di comunicazioni che però in qualche modo girava a vuoto. Durante l’irruzione è stato il vicepresidente Mike Pence e non il presidente Donald Trump ad autorizzare l’invio della Guardia nazionale in soccorso della polizia del Campidoglio, ormai sopraffatta dalla folla trumpiana – come ha scritto per primo il New York Times senza che i militari smentissero. “Trump ha inizialmente fatto resistenza contro la richiesta”, secondo la Cnn. Questo vuol dire che nel momento più grave gli Stati Uniti avevano una catena di comando sdoppiata. Trump aveva appena aizzato i suoi sostenitori contro il Congresso mentre c’era Mike Pence dentro e poco dopo Mike Pence da un luogo sicuro – dove era stato trascinato dalla sua scorta – autorizzava l’intervento della Guardia nazionale a protezione del Congresso e questo contro “la resistenza iniziale” di Trump. Nessuno per ora ha chiarito cosa vuol dire “resistenza iniziale” in una situazione che richiedeva un intervento di emergenza nel giro di pochi minuti. Però in un momento successivo il presidente Trump ha detto in pubblico di essere stato lui a chiamare la Guardia nazionale per dare manforte alla polizia del Campidoglio ed è una precisazione importante perché si è reso conto che l’ordine di Pence è il segno che la sua autorità si sta spappolando. Pence non rilascia dichiarazioni. Per ora la faccenda è in sospeso.
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