Il rapporto
Il 2020 in Cina è stato l'anno della grande repressione
Da Hong Kong a Wuhan fino alle persecuzioni degli Uiguri: "Il periodo più buio dal massacro del 1989 che pose fine al movimento democratico di piazza Tiananmen", dice Humans Rights Watch nel suo ultimo report
"Il periodo più buio dal massacro del 1989 che pose fine al movimento democratico di piazza Tiananmen": l'accusa, pesantissima, arriva da Humans Rights Watch che ieri ha pubblicato il World Report 2021, l'indagine annuale attraverso cui l'organizzazione indipendente con sede a New York indaga la libertà e il rispetto dei diritti umani in tutto il mondo. Quello che emerge è uno scenario inquietante per la Cina, che nel 2020 ha visto aumentare ulteriormente il potere del Partito comunista, la repressione e l'insofferenza verso ogni forma di controllo, o anche solo di collaborazione, da parte degli organismi sovrannazionali. Una tendenza che peggiora di anno in anno e che sotto la guida di Xi Jinping ha subito una nuova accelerazione.
Dalla "National security law" all'ostruzionismo sulle indagini indipendenti relative a Wuhan e alla nascita dei primi focolai di Coronavirus, fino alle persecuzioni delle minoranze di Uiguri e di musulmani turchi, il report passa in rassegna gli eventi principali in cui l'autoritarismo cinese ha potuto manifestare tutto il proprio potere, insieme allo sprezzo per i diritti umani. La realtà delineata da HWR appare gravissima, ma non deve sorprendere: più volte sulle pagine di questo giornale abbiamo raccontato le storture del regime cinese e i suoi effetti sulla popolazione. Di seguito abbiamo raccolto una serie di articoli che ricostruiscono gli avvenimenti più significativi, e talvolta drammatici, dell'anno appena passato.
Per la Cina il 2020 era iniziato nel segno delle proteste contro l'autoritarismo del governo centrale: proprio nel giorno di capodanno, in centinaia di migliaia, hanno sfilato per vie le di Hong Kong rivendicando democrazia, diritti ed autonomia. Una manifestazione che arrivava dopo mesi di tensione tra la città "autonoma" e Pechino e a cui sarebbe seguito un ulteriore scatto repressivo, l'emanazione della legge sulla Sicurezza nazionale, provvedimento dai contorni oscuri che sanciva una nuova e più forte stretta autoritaria.
Proteste a cui erano seguiti numerosi arresti, minacce istituzionali e persecuzioni. Come si legge ancora nel Global Report 2021, "il silenziamento di difensori dei diritti umani, giornalisti e attivisti e le restrizioni su Internet rende difficile ottenere informazioni" e ricostruire l'esatta portata delle azioni dell'autorità cinese. Quel che però si può ricostruire con certezza è l'utilizzo sistematico di strumenti antidemocratici, come il ricorso al carcere preventivo, attraverso accuse faziose se non prive di fondamento. Come nel caso di Joshua Wong
Ma il 2020 è stato soprattutto l'anno del Covid-19, partito da Wuhan prima di diventare drammatica quotidianità in tutto il mondo. Humans Rights Watch sottolinea come il governo cinese abbia fatto di tutto per ostacolare indagini e ricerche da parte di ogni organismo internazionale, secretando documenti, impedendo l'accesso ai dati e ricorrendo a sanzioni di tipo economico. E' questo il caso dell'Australia che negli scorsi mesi aveva provato a condurre uno studio autonomo sull'origine della pandemia, ottenendo come risposta
una serie di "tariffe punitive" sulle merci legate a Canberra. Ma ancor più emblematico, e purtroppo attuale, è il caso dell'OMS: la richiesta dell’indagine indipendente era iniziata a maggio e, secondo quanto riferito dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità, sarebbe dovuta iniziare a luglio da Wuhan, dove tutto è cominciato. Ma non è successo. Non ancora almeno, perché secondo le ultime ricostruzioni proprio oggi dovrebbero atterrare in Cina i dieci esperti incaricati di condurre gli accertamenti.
Altro aspetto della feroce repressione di Xi Jinping è quello che riguarda l'oppressione delle minoranze. Anche in questo caso, non si parla di una triste novità, quanto di azioni che hanno radici ben più profonde, come nella regione autonoma della Xinjiang, dove prosegue la persecuzione e la detenzione degli Uiguri e di altri turchi musulmani. Quello che è stato definito un "genocidio demografico".
In seguito alle numerose, e poco efficaci, condanne della comunità internazionale, la Cina ha fornito alcuni numeri in merito, affermando che gli Uiguri interessati dalle politiche del governo centrale sarebbero 1,3 milioni. Ma dalla muraglia si sono affrettati a specificare che queste persone non sarebbero state incarcerate ma si trovassero in "vocational training center", ovvero centri di formazione in cui, sempre secondo la Cina, molti si sarebbero anche laureati. E' chiaro che a nessuna organizzazione indipendente è stato permesso di verificare la veridicità delle informazioni. Quel che invece appare certo, stando a ricostruzioni della stampa internazionale, è che il governo di Pechino stia operando per cancellare la tradizione islamica degli uiguri, e che molti di loro siano costretti ai lavori forzati nei campi di cotone.