Quando su Cnews il filosofo liberale Raphaël Enthoven utilizzò il termine “ciarlatano” per qualificare il virologo marsigliese Didier Raoult, sostenitore accanito dell’idrossiclorochina come rimedio miracolo per curari i pazienti colpiti dal Covid-19, l’anchorman del giornalismo populista francese, Pascal Praud, lo guardò indignato. “Mi scusi ma ciarlatano mi sembra un po’ troppo”, disse Praud a Enthoven. Risposta: “Chiamo ciarlatano un tipo che pensa di essere un indovino, che a febbraio (2020, ndr) predice la fine di una pandemia, anche se non sa nulla di questa pandemia, che vende una molecola che non funziona, o se volete funziona come una pastiglia Valda, che disturba la ricerca e rifiuta il metodo scientifico. La sua è una negazione della scienza travestita da difesa della scienza. Crede di essere Dio, sventola i suoi diplomi per mostrare che ha ragione e fa della scienza una questione di sondaggi. Sì, è un ciarlatano”. Per i pro Raoult, Enthoven è un “filosofo venduto ai Big Pharma”. Ma in questi giorni molte cheerleaders del santone di Marsiglia si sono silenziate. Perché in una lettera pubblicata il 4 gennaio sul sito del National Center for Biotechnology, e resa nota nel weekend dalla stampa francese, è lo stesso Raoult assieme ai suoi collaboratori ad ammettere che il farmaco anti malaria non permette di ridurre il tasso di mortalità dei malati di coronavirus: conclusione a cui l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) era giunta nel maggio dello scorso anno, giustificando la sospensione immediata di tutti i test clinici in corso a base di idrossiclorochina.
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