Il 12 dicembre del 2000, Paul Glastris e gli altri speechwriter di Bill Clinton si siedono intorno al tavolo e insieme scrivono quello che credono diventerà uno dei discorsi più importanti della sua presidenza. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha appena sancito che a vincere le elezioni del 7 novembre è George W. Bush, mettendo fine alla disputa che dura da più di un mese con l’avversario democratico Al Gore. “Eravamo scioccati, arrabbiati, delusi. Nel discorso abbiamo scritto che era una sentenza ingiusta, che tradiva gli elettori americani, che la Corte non avrebbe mai dovuto bloccare il conteggio manuale dei voti in Florida”, ci dice Glastris dalla sua casa di Washington Dc.
Il presidente Clinton quel giorno è in Europa per una delle sue ultime missioni all’estero. Gli speechwriter, fieri di quelle parole che hanno appena messo in fila, dalla Situation Room spediscono al presidente il discorso che lui dovrebbe pronunciare in risposta alla decisione della Corte che fa vincere Bush con appena 537 voti in più. Poco dopo l’invio, il presidente rispedisce la pagina ai suoi collaboratori. “Era tutto completamente cambiato. Tutto cancellato. Nessun riferimento all’ingiustizia subita. Nessun termine che lasciasse trasparire arrabbiatura, sdegno”.
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