Nell'Europa dei populismi, xenofobia e antieuropeismo, attorno a Lisbona resiste un'oasi di politica civile. E le elezioni in arrivo non fanno pensare a un cambio di rotta
Si vota, domenica in Portogallo. In realtà la faccenda non dovrebbe destare grande interesse, sia perché si tratta di un’elezione di relativo secondo piano (si elegge il Presidente della Repubblica, carica che non ha alcun potere esecutivo) sia perché il risultato è quasi scontato (il presidente uscente, Marcelo de Sousa, è dato vincente per il secondo mandato con il 62 per cento, 50 punti più in su dell’altra candidata, la socialista Ana Gomes, data dai sondaggi non oltre il 12 cento). Eppure, nonostante quella che va al voto non sia una carica di governo esecutivo e nonostante non si tratti neppure di un’elezione sul filo del rasoio, gli occhi dell’Europa sono puntati su Lisbona. E la domanda che tutti si pongono, guardando i portoghesi andare al voto, non è “Chi vincerà?”, ma ‘Quanto durerà?”. Già: quanto durerà l’anomalia portoghese?
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