Il Partito repubblicano in America è alle prese con una fase cruciale della sua esistenza che potremmo chiamare della debaathificazione, una parola che ci riporta indietro all’Iraq del 2003 quando Saddam Hussein fu cacciato dal potere e con lui il partito arabo Baath. Di colpo si pose il problema di cosa fare con tutti i baathisti ancora attivi nel paese, nella politica, nelle istituzioni, nell’esercito e ovunque: alcuni lo erano per fanatismo e altri per convenienza, alcuni erano una minaccia e altri aspettavano soltanto qualcuno che offrisse loro una via d’uscita. Una cosa non si poteva fare: fingere che non ci fossero. Ma nemmeno si poteva punirli e cacciarli tutti, erano troppi, erano una parte funzionante del paese. Quando alcuni baathisti capirono che sarebbero stati trattati con severità si unirono alle bande di fanatici che si andavano formando e divennero un pericolo peggiore. Questo è un problema urgente dei repubblicani – che non esisterebbe se ci fosse stata una transizione di potere regolare invece che settanta giorni di guerriglia legale e di propaganda culminati nell’assalto al Congresso. Ma la transizione regolare non c’è stata. Alcuni repubblicani erano inorriditi dal clamore degli assalitori che facevano irruzione al Campidoglio, altri li avevano incoraggiati fino a un paio di ore prima. Alcuni repubblicani condannano la deriva complottista di una parte degli elettori, altri la sfruttano.
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