Rupert Murdoch (foto EPA)

E lo Squalo come fa?

Paola Peduzzi

Murdoch finge di no, ma c’è differenza tra cancellare la libertà di dissentire e cancellare frottole e complottismi

Rupert Murdoch parla di rado, quando lo fa è sintetico e fa scoppiare un numero di polemiche solitamente superiore alle parole pronunciate. E’ accaduto in questi giorni, quando il proprietario di News Corp. meglio noto come “lo squalo” o come “il kingmaker”, visto che da decenni guida un gruppo mediatico che riesce a muovere l’opinione pubblica, ha parlato meno di un minuto ricevendo un premio a distanza (il premio è australiano, la sua terra d’origine, Murdoch era nell’Oxfordshire, dove ha trascorso l’ultimo anno di pandemia). Ha detto due cose: non consideratemi finito (compie 90 anni a marzo, il passaggio di testimone ai figli è stato talmente lungo e tormentato che ha ispirato una serie tv bella come “Succession”) e guardatemi bene mentre combatto quest’ultima battaglia, quella contro “l’orribile ortodossia woke”. Murdoch dice: “Per noi che lavoriamo nei media, c’è una grande prova da affrontare: un’ondata di censura che cerca di silenziare ogni conversazione, di soffocare ogni dibattito, finendo così per impedire alle persone e alle società di realizzare il loro potenziale. Questo conformismo esercitato in modo rigoroso, aiutato e spalleggiato dai cosiddetti social media, è la camicia di forza della suscettibilità. Troppe persone hanno combattuto troppo duramente e in troppi luoghi in difesa della libertà di parola per essere ora messe a tacere da questa orribile ortodossia woke”.

 

Murdoch si inserisce così nel dibattito sulla cancel culture, la cultura della cancellazione che dal MeToo in poi ha fatto molte vittime, trovando via via alleati sempre più minacciosi nei social - il direttore del New York Times è Twitter, ha detto una cancellata famosa, la giornalista Bari Weiss. I woke, i perennemente indignati e suscettibili, hanno stordito la libertà di non pensarla tutti allo stesso modo ma negano: la cancel culture non esiste. Da ultimo però, questo dibattito che riguardava il mainstream della sinistra, è stato strattonato verso destra e così la cancel culture, come la intende lo stesso Murdoch, è cancellazione delle idee conservatrici, o delle idee della destra o dei fatti alternativi meglio noti come fake news. (Peduzzi segue a pagina quattro) Murdoch e gli strattonatori come lui (molti sono anche suoi dipendenti, dopo essere stati dipendenti della Casa Bianca di Donald Trump) ignorano la differenza tra woke e fake, tra indignarsi per tutto e pretendere che non ci si indigni di fronte alle frottole o alle teorie del complotto o all’estremismo qanonista. 

 

Un esempio. Josh Hawley, senatore del Missouri, ha pubblicato un articolo lanciato sulla prima pagina del New York Post (tabloid del gruppo Murdoch), in cui denuncia “l’America imbavagliata”, di cui lui è una vittima, perché è stato “cancellato”, o meglio è stato cancellato il suo libro dopo i fatti del 6 gennaio, cioè l’assalto al Congresso (Hawley ha già trovato un nuovo editore: Regnery Publishing). Il cosiddetto bavaglio è stato messo al senatore perché quel giorno ha salutato la folla che di lì a poco avrebbe fatto irruzione nel Campidoglio incitandola a resistere: è considerato un istigatore, come molti altri, a partire dall’ex presidente Trump. Quando poi il Congresso liberato dai rivoltosi ha ripreso a votare per certificare l’elezione a presidente di Joe Biden, Hawley è stato uno degli otto senatori che quel voto non l’hanno dato, cioè ha ribadito ancora una volta e fino all’ultimo che per quel che lo riguarda l’elezione del 2020 è stata rubata da Joe Biden. Se si pensa che per i fatti del 6 gennaio l’ex presidente Trump rischia l’impeachment, appare chiaro che il bavaglio che denuncia il giovane e brillante senatore Hawley ha poco a che fare con la cancellazione del dissenso: semmai si tratta di cancellare una cosa falsa, la delegittimazione senza prove del passaggio di potere alla Casa Bianca.

 

Poi c’è Fox News, la tv di Murdoch, quella che lo ha un pochino staccato dal suo grande amore, la carta stampata, quella che ha condizionato l’ultimo atto della difficile successione, nella quale uno dei figli che per un poco è sembrato delfino è infine stato esiliato (è James, e lui dice di essersene andato per manifesta incompatibilità ideologico-imprenditoriale). Fox News insomma ha fatto della denuncia del bavaglio e della censura una propria battaglia, costruendo il mito del: nessuno ve lo dice, ma questa è la verità. Prendendosela con i benpensanti woke e i loro estremismi, Fox News è diventata una fabbrica di fatti alternativi (fake) spacciati per libertà di parola. Uno dei mantra che si sentono ripetere più spesso dal 6 gennaio in poi, e soprattutto dopo che Trump è stato sospeso dai social, è: “I repubblicani sono stati silenziati”. Questo è l’ultimo fronte della cancellazione, quello in cui si capisce bene la differenza tra la libertà di avere idee diverse, discuterne, litigarci, e la volontà ereditata dal trumpismo di far passare per libertà quel che è falso, inventato, violento.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi