Yangon, 1 febbraio 2021. (Foto Ap, Thein Zaw)

Back to 1962?

Perché il colpo di stato in Myanmar è una brutta notizia

I militari dichiarano lo stato d'emergenza e prendono il potere, ma a permetterglielo è la Costituzione. Aung San Suu Kyi arrestata

Giulia Pompili

Le elezioni con cui la National League for Democracy di Aung San Suu Kyi aveva vinto l'83 per cento dei seggi non sono piaciute all'esercito, che adesso vuole far fuori la leader del lentissimo processo di democratizzazione del paese. L'incertezza politica e la pericolosa involuzione autoritaria del sud est asiatico

“Per almeno un anno il Myanmar è in stato d'emergenza – recita lo scarno bollettino trasmesso dalla tv Myawaddy News – il comandante in capo della Difesa Min Aung Hlaing è ora al potere per la durata dello stato d'emergenza, e il vicepresidente U Myint Swe sarà temporaneamente presidente. Questa mattina il consigliere di stato Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e altri funzionari della National League for Democracy sono detenuti dall'esercito”. L'annuncio della presa del potere dei militari in Myanmar era atteso da almeno una settimana, quando l'esercito aveva annunciato azioni concrete contro quelli che aveva definito “brogli elettorali”.  La prima riunione del Parlamento eletto, in programma oggi, è stata sospesa.

 

E il problema è proprio il Parlamento. Le elezioni che si sono svolte il 9 novembre scorso, le seconde sin dall'inizio del lentissimo processo di democratizzazione del Myanmar cominciato nel 2011, sono state sin dall'inizio particolarmente controverse.  Già all'inizio di novembre il capo dell'esercito Min Aung Hlaing aveva accusato l'esecutivo di “diverse violazioni” delle leggi elettorali. Nonostante questo, la National League for Democracy di Aung San Suu Kyi aveva vinto l'83 per cento dei seggi disponibili, ma il partito sostenuto dai militari aveva poi contestato circa 90 mila voti.

 

Oltre alle controversie legate al voto, c'è anche il fatto che in realtà non è esatto parlare di golpe. Secondo la Costituzione entrata in vigore nel 2008, non solo il 25 per cento del Parlamento birmano è riservato ai militari, ma il comandante dell'esercito ha il diritto di dichiarare lo stato d'emergenza sciogliere il Parlamento. In Myanmar, chi ricorda il colpo di stato militare del 1962 e poi il regime militare, dice che la situazione oggi è completamente diversa: non ci sono carri armati per le strade, e “la pandemia ha dato modo ai militari di avere una scusa per lo stato d'emergenza”, dice al Foglio una fonte accademica. “Fanno finta che tutto sia business as usual. Per esempio, internet è stato forse rallentato, ma qui a Yangon non è stato bloccato come tutti ci aspettavamo”. Al contrario, Reuters riporta che nella capitale Naypyitaw e in alcune zone di Yangon internet e la rete cellulare sono stati sospesi durante le fasi iniziali della presa del potere dei militari. Di sicuro in altre zone del paese ci sono stati dei blocchi alle comunicazioni. Le attività bancarie e le operazioni ai bancomat sono state fermate. Il premio Pulitzer Aye Min Thant ha raccontato su Twitter della calma apparente per le strade di Yangon e la paura che da un momento all'altro si possa scatenare la violenza.  A parte la presenza di più militari per le strade, nel corso della giornata diversi sostenitori dei militari hanno festeggiato sventolando la bandiera sacra del buddismo e quella del paese. 

 

“Aung San Suu Kyi ha difeso i generali del Myanmar contro le accuse di genocidio all'Aia. Ha elogiato i soldati che hanno aperto il fuoco contro gli insediamenti delle minoranze etniche. Ha fatto solo modesti cambiamenti democratici per eliminare l'esercito dal potere politico. Non è stato abbastanza”. Inizia così l'analisi dei giornalisti Shibani Mahtani e Timothy McLaughlin sul Washington Post. I compromessi compiuti finora dalla Signora le sono costati le accuse internazionali – soprattutto da parte di tutti i pentiti occidentali, quelli fino a dieci anni fa, prima che si sporcasse le mani con la politica attiva, l'avevano trasformata in una icona della libertà. E poi c'è l'influenza internazionale: l'America di Donald Trump, con l'America First, ha dimenticato il sud-est asiatico che ora vive una nuova fase di involuzione autoritaria. 

 

Condanne per il colpo di stato sono arrivate dall'America di Joe Biden, dall'Australia, Gran Bretagna, Unione Europea, India, Giappone, Malesia e Singapore. La Cina, uno dei paesi da cui la fragile economia del Myanmar dipende di più, ha invitato le parti a “rispettare la Costituzione e mantenere la stabilità”. 

 

Con una anomala tempestività, l'Italia ha condannato in una nota della Farnesina la presa del potere militare in Myanmar: "La volontà della popolazione è chiaramente emersa nelle ultime elezioni e va rispettata. Siamo preoccupati per questa brusca interruzione del processo di transizione democratica e chiediamo che vanga garantito il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali".

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.