Roma. Il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka è pronto a passare alla repressione totale contro i manifestanti che da agosto protestano per chiedere nuove elezioni libere e trasparenti. Non che finora il regime non abbia represso, arrestato, picchiato, multato e anche ucciso, ma è deciso a fare un passo ulteriore: delle leggi per mettere fine alle manifestazioni. Questa settimana le forze dell’ordine hanno perquisito gli appartamenti di oltre quaranta giornalisti indipendenti, attivisti e difensori dei diritti umani. Ieri due giornaliste, Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva, sono state condannate a due anni di prigione per aver ripreso e trasmesso una protesta iniziata spontaneamente dopo che un gruppo di agenti in borghese aveva picchiato Raman Bandarenka, fino a ucciderlo. Il ragazzo stava appendendo nastri bianchi e rossi, i colori della protesta, per le strade del suo quartiere. Durante il processo Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva sorridevano, si abbracciavano, promettevano che prima o poi i bielorussi avrebbero vinto: “Lukashenka non può spezzarci”. La sensazione è proprio questa, che i bielorussi abbiano portato la loro lotta pacifica talmente lontano, che abbiano sopportato così tanto – morti, arresti, umiliazioni – che non sono pronti a tornare indietro e a riconsegnare la nazione a Lukashenka, che ne detiene il potere, ma ormai senza più legittimità.
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