Gli errori del Corriere sul "fallimento clamoroso dell'Europa sui vaccini"
Un portafoglio di vaccini ineguagliabile per qualità e quantità, controlli rigorosi e rapidi: la realtà è che le dosi attuali dell'Ue sono superiori alle capacità nazionali di vaccinazione, ma tutto cambia se si confondono le istituzioni europee con i suoi stati membri
Nel momento in cui oltre un milione di dosi di vaccini sono ferme nei frigoriferi per l'assenza di un vero piano vaccinale nazionale, l'Italia ricorre al vecchio trucco di puntare il dito contro l'Europa per nascondere le proprie responsabilità. E' accaduto anche oggi sul Corriere della Sera, dove Aldo Cazzullo ha fatto l'elenco dei presunti “errori europei sulla crisi”. Errori da parte della Commissione di Ursula von der Leyen ce ne sono stati. Intoppi e imprevisti ancora di più, in una situazione senza precedenti e in un'impresa tanto complicata quanto produrre in massa vaccini ad appena un anno di distanza dallo scoppio di una pandemia di un nuovo misterioso virus. Ma la sentenza di Cazzullo – “si profila un fallimento clamoroso dell'Europa sui vaccini” – si fonda su una serie di informazioni parziali o sbagliate, oltre che sulla pessima abitudine di confondere le istituzioni dell'Ue con i suoi stati membri.
L'assunto di base dell'argomentazione di Cazzullo è che in Europa “i vaccini non ci sono, neppure per chi li vorrebbe”. I dati presentati ai leader da von der Leyen al Vertice in videoconferenza giovedì scorso smentiscono questa tesi. Quel giorno erano state distribuite 51,5 milioni di dosi, ma gli stati membri ne avevano somministrate appena 29,17 milioni. Il Financial Times nel fine settimana ha fatto un po' di conti su quante dosi del vaccino AstraZeneca sono state somministrate finora e i risultati sono scoraggianti: venerdì la Francia aveva amministrato solo il 16 per cento, Germania e Italia circa il 20 per cento, la Spagna il 30 per cento. La realtà è che le dosi attuali sono superiori alla capacità di vaccinazione degli stati membri, che si sono preparati male alla sfida dei vaccini. Non tutti gli stati membri dell'Ue stanno facendo male. La Danimarca ha somministrato quasi il doppio di dosi di Italia, Francia e Germania rispetto alla popolazione. A marzo arriveranno in Italia altre 3 milioni di dosi AstraZeneca, almeno 4 milioni di Pfizer-BionTech e quasi 1 milione di Moderna. Per tenere il passo delle dosi che arriveranno nelle prossime settimane, si dovrebbero realizzare più di 250 mila somministrazioni al giorno.
Cazzullo sbaglia quando sostiene che “l'Europa ha puntato tutto su AstraZeneca, che è arrivato molto dopo quello di Pfizer, e pur avendo alcuni vantaggi – costa meno, si trasporta più facilmente – ha un'efficacia inferiore”. Chi ha puntato (quasi) tutto su AstraZeneca è il Regno Unito, che è in cima alle classifiche mondiali per percentuale della popolazione vaccinata. Chi aveva puntato tutto su AstraZeneca era stata l'Alleanza dei vaccini composta da Italia, Francia, Germania e Paesi Bassi, che aveva sbandierato il primo accordo con la società anglo-svedese nel giugno del 2020 come panacea per la pandemia. Chi aveva puntato molto su AstraZeneca era stata una certa stampa patriottica che lo descriveva come “il vaccino di Pomezia” per il coinvolgimento della Ribm. Lo stesso Cazzullo, rispondendo a un lettore il 18 novembre, scriveva che “non è detto che quello della Pfizer sia autorizzato dall'Ue prima di quello sviluppato da AstraZeneca con i ricercatori di Oxford e la Irbm di Pomezia”.
La realtà è che la Commissione ha costruito un portafoglio di vaccini che nessun altro al mondo può vantare per qualità e quantità. Lo aveva deciso in giugno, quando presentò la sua strategia sui vaccini: occorreva diversificare il rischio e avere un paniere il più ampio possibile, con diverse tecnologie, perché non si sapeva quale sarebbe arrivato per primo e con quale efficacia. Il risultato è questo: 600 milioni di dosi Pfizer-BioNTech (gli Usa ne hanno 300 milioni), 460 milioni Moderna, 405 milioni CureVac, 400 milioni Johnson & Johnson, 400 milioni AstraZeneca, 300 milioni Sanofi. Presto la Commissione dovrebbe chiudere altri due contratti per 200 milioni Novavax e 40 milioni Valneva. Gran parte di queste dosi arriveranno negli stati membri tra aprile e settembre. Solo per l'Italia ne sono previsti 130 milioni. Per tenere il ritmo delle dosi in arrivo, l'Italia dovrebbe somministrarne oltre 500 mila al giorno. Se ci riuscisse potrebbe vaccinare il 70 per cento della popolazione adulta entro la fine di giugno, e non entro la fine dell'estate che è l'obiettivo fissato dall'Ue.
Cazzullo attribuisce la lentezza dell'Europa alla burocrazia che omaggia sé stessa e in particolare all'Agenzia Europea dei Medicinali (Ema). Anche in questo caso, la realtà è diversa dal racconto. Il Regno Unito ha seguito le procedure dell'Ue per autorizzare AstraZeneca e Pfizer-BioNTech, avvalendosi di una possibilità che hanno tutti gli stati membri: l'autorizzazione di emergenza. La Brexit non era ancora stata completata a dicembre e dunque Londra era obbligata a seguire le regole europee. L'Ungheria ha usato la stessa procedura per autorizzare i vaccini russo Sputnik V e cinese Sinopharm. L'autorizzazione di emergenza è sbrigativa sui dati e non prevede controlli essenziali per la sicurezza, come la verifica degli impianti di produzione dei vaccini. Quanto all'Ema, le sue decisioni sono sempre arrivate rapidamente, un paio di settimane dopo quelle della Fda americana. Per Johnson & Johnson la data fissata è l'11 marzo. Il ritardo il più delle volte è stato dovuto alla decisione delle società farmaceutiche di fare domanda prima alla Fda e poi all'Ema.
Cazzullo infine cede al mito dell'efficienza dei regimi e della leggenda dello Sputnik V, abilmente alimentata dalla propaganda russa. L'Aifa ha detto che è “ottimo”. “Benissimo. L'Europa è lì proprio per prendere decisioni politiche. Cos'altro aspetta?”, si chiede Cazzullo. Le decisioni politiche su un prodotto biologico da iniettare nelle persone forse non sono la scelta più saggia da fare. Ma il problema con Sputnik V è un altro. L'Ema non può autorizzarlo se prima non riceve la richiesta per il via libera. E allora perché la russa Gamaleya, che lo ha sviluppato, non fa domanda di autorizzazione all'Ema? I russi non hanno mai risposto, facendo circolare la notizia di aver inviato una richiesta alla Commissione invece che all'Ema (ma ci si può fidare di un produttore di vaccini che sbaglia indirizzo email?).
I fatti su Sputnik V sono questi: la Russia non ha capacità produttive sufficienti per produrre autonomamente su vasta scala per il mercato dell'Ue e mondiale e sta chiedendo a diversi paesi europei di finanziare gli impianti; per l'autorizzazione dell'Ema Gamaleya dovrebbe concedere l'accesso ai suoi siti produttivi; l'Ema sta dialogando con i russi per spiegare tutte le procedure da seguire, ma senza risultati. Qualcuno potrebbe chiedersi se non sia più conveniente per la geopolitica russa dividere l'Ue, limitandosi a offrire dosi a piccoli paesi come l'Ungheria. Quanto all'Aifa, potrebbe tranquillamente usare la procedura di emergenza per Sputnik V come ha fatto Viktor Orban, ma in caso di problemi e indennizzi se ne assumerebbe tutta la responsabilità.
L'Europa è sempre un facile bersaglio, soprattutto quando i fatti vengono piegati a una comoda narrazione auto-assolutiva. Le poche righe che Cazzullo dedica all'Italia “ferma a centomila somministrazione al giorno” sono il vero problema da risolvere con urgenza. La Commissione aveva chiesto in ottobre agli stati membri di presentare dei piani vaccinali nazionali, dando tutta una serie di suggerimenti su gruppi prioritari, logistica e sistemi informatici. Il 12 dicembre, quando nessun vaccino era stato autorizzato, l'Italia aveva presentato il suo piano, con nessun obiettivo temporale o dettagli specifici su come andare avanti nella campagna. Da allora non è stato ancora aggiornato.