Sui vaccini l'Ue ha sbagliato una cosa: voler evitare il rischio
La strategia europea è stata disegnata per anticipare i pericoli di No Vax e anti Big Pharma. Il ritardo e il finanziamento delle capacità produttive
Bruxelles. Se c’è un fallimento dell’Ue sui vaccini è essersi piegata alla tirannia della precauzione: le classi politiche hanno abdicato al loro ruolo maieutico preferendo inseguire i sentimenti popolari ed evitando il rischio dell’impopolarità. Perché la Commissione ci ha messo tanto a negoziare i contratti? Perché l’Ema ha autorizzato più tardi i vaccini? Perché non ci sono già centinaia di milioni di dosi pronte? Perché le campagne di somministrazione nei paesi europei vanno a rilento?
Messe insieme, le risposte a queste domande portano al grande fallimento: la volontà di evitare rischi. La strategia sui vaccini dell’Ue è stata costruita nel giugno del 2020 tenendo a mente le logiche politiche e le paure del continente. Il primo obiettivo era evitare la guerra tra gli stati membri. Ma, su insistenza dei governi, una parte della strategia è stata disegnata su misura di frange di opinioni pubbliche e delle loro derive irrazionali come No vax, anti Big Pharma o anticapitalisti. Gli europei sono tra i più scettici al mondo sui vaccini grazie ad anni di propaganda No vax che ha trovato ampia eco sui media mainstream. Per anticipare il pericolo No vax gli stati membri hanno chiesto la massima prudenza nel processo di approvazione da parte dell’Ema. E’ stata scelta una procedura di “rolling review” che ha permesso di accelerare i via libera. Ma l’Ue ha rifiutato la procedura di emergenza, utilizzata dal Regno Unito. I ritardi nella firma dei contratti da parte della Commissione non sono dovuti alla capo negoziatrice, Sandra Gallina, o alle trattative per far calare il prezzo delle dosi. Il tempo in più è stato necessario per far accettare alle società farmaceutiche la responsabilità in caso di problemi dei vaccini. L’Ue non voleva dare l’impressione di fare un regalo a Big Pharma esentandolo dagli indennizzi, come hanno fatto Stati Uniti, Regno Unito e Israele. La stessa logica del “niente regali a Big Pharma” aiuta a spiegare perché l’Ue ha puntato sui contratti di acquisto di dosi invece di finanziare direttamente le capacità produttive.
Legalmente la Commissione non può sussidiarie le società farmaceutiche e così è stata costretta a passare dagli accordi di acquisto anticipato, caricandosi il rischio degli stock prodotti in caso di mancata autorizzazione. La Banca europea degli investimenti è intervenuta con prestiti (100 milioni a BioNTech e 75 milioni a CureVac). Solo gli stati membri sarebbero potuti intervenire massicciamente per finanziare la produzione. Ma, l’ha fatto solo la Germania con BioNTech e CureVac. Ora le dosi ci sono, ma la tirannia della precauzione frena le campagne nazionali. I moduli sul consenso informato e la privacy, così cari agli europei, rallentano la velocità delle somministrazioni. Quasi nessun governo dell’Ue ha deciso di distanziare la seconda dose oltre le date previste dalle società.
Per contro, quasi tutti tengono centinaia di migliaia di dosi in frigo come “scorta” in caso di problemi di forniture. La Commissione diventa così il capro espiatorio della lentezza e della mancanza di coraggio dei governi nazionali. Ma anche lei muore lentamente delle sue cautele diplomatiche. Dopo aver pubblicato a ottobre raccomandazioni su come prepararsi a vaccinazioni di massa, oggi rimane silente per non irritare le capitali. La logica di von der Leyen è che “in una pandemia preferiamo collaborare piuttosto che puntare il dito”.