Minacce in terra
Fukushima, dieci anni dopo
Quel che resta del disastro più spaventoso del mondo
Il Grande terremoto del Giappone orientale, la triplice catastrofe di un sisma, un maremoto e un incidente atomico, ha dimostrato ai giapponesi che non tutto può essere previsto. Lo choc collettivo e la trasformazione della politica
Domani saranno dieci anni da quando il più forte terremoto mai registrato in Giappone ha colpito l’area del Tohoku, la regione centrale dell’arcipelago nipponico. La terra, quell’11 marzo, iniziò a tremare alle 14 e 46, ma era solo l’inizio di un triplice disastro che ha cambiato per sempre il paese. E’ stata una delle più grandi catastrofi della storia. Non solo per il numero di morti, ma perché è stato uno choc collettivo e improvviso, e ha costretto il paese a riconsiderare il proprio rapporto con la crescita economica, lo sviluppo, la cura dei cittadini. All’epoca il Giappone era ancora la seconda economia del mondo, ma la distruzione ha accelerato il sorpasso da parte della Cina.
L’epidemia da Covid-19 è stata niente in confronto. Uno dei motivi per cui il Giappone è sembrato più preparato alla lunga ondata pandemica è che da un decennio i disastri vengono studiati meglio, in posti come l’Istituto internazionale di ricerca sulla Scienza dei disastri dell’Università del Tohoku, e viene analizzato il loro impatto sulla salute mentale dei cittadini e il modo più efficace per indirizzarli verso comportamenti sicuri. Fino ad allora si cercava di prevenire i disastri, ma quell’11 marzo ha dimostrato al Giappone, il paese del principio di precauzione, che non si può prevedere ogni cosa. Che la riduzione del fattore di rischio è possibile fino a un certo punto, oltre il quale viene fuori la limitatezza dell’essere umano. Vivere in un luogo così esposto alle catastrofi naturali significa usare la tecnologia e la scienza in modo olistico, adattandosi.
Non era stato previsto un terremoto così forte, ma soprattutto non era stato previsto un maremoto così imponente, che nel giro di un’ora dalla prima scossa ha inondato più di cinquecento chilometri quadrati di terraferma, arrivando fino a dieci chilometri dalla costa nell’area di Sendai. Secondo i dati del governo di Tokyo, quasi sedicimila persone sono morte e 2.500 sono ancora disperse: il 90 per cento delle vittime le ha annegate il maremoto. Ma ci sono anche 3.767 persone che sono morte per cause “correlate” al disastro, e sono per esempio i decessi dovuti alla permanenza nei centri di evacuazione, allo stress, e poi i suicidi, le malattie provocate dall’uso di sostanze. La maggior parte di queste persone, 2.313, veniva dalla prefettura di Fukushima.
Il danno provocato dalla centrale nucleare di Fukushima Daichii, quel giorno di dieci anni fa, ha poco a che fare con la natura e molto con l’uomo. La centrale atomica non era stata progettata pensando a un terremoto così forte e a un maremoto così imponente. Ma al di là degli errori umani e dell’imprevedibile, Fukushima ha distrutto l’economia di una delle prefetture più grandi e produttive del Giappone. Ha costretto 160 mila persone a evacuare, e anche se l’area rossa di contaminazione a oggi è ridotta a 337 chilometri quadrati intorno ai reattori, poco più del 5 per cento dei residenti è tornato alle abitazioni e alle attività. I costi dell’incidente, secondo il governo di Tokyo, sono ancora incalcolabili. E’ anche per questo che il movimento antinucleare giapponese non è più soltanto una minoranza radicale ed emotiva.
E’ un progetto trasversale di trasformazione dell’energia nipponica, che ha i volti di due ex premier rockstar, politicamente opposti: Naoto Kan, che era a capo del governo di Tokyo durante il disastro, e Junichiro Koizumi. A oggi soltanto 9 dei 36 reattori, quasi tutti spenti dopo l’incidente del 2011, sono attivi. Ma da quando il governo di Yoshihide Suga, che ha raccolto l’eredità di Shinzo Abe, ha annunciato la neutralità carbonica entro il 2050, in molti pensano che l’unica via sia quella di riattivare il nucleare. Ma servirebbe un miracolo, dopo lo choc del 2011, per riconquistare la fiducia dei cittadini.