AP Photo/Matt Dunham

Meghan ha ragione! La rivolta caraibica contro il Commonwealth

Gregorio Sorgi

Le accuse di razzismo rinvigoriscono i sentimenti anti monarchia nelle ex colonie

Le rivelazioni di Harry e Meghan nell’intervista a Oprah Winfrey non hanno spaccato soltanto l’opinione pubblica britannica: hanno anche rinvigorito i sentimenti repubblicani nelle ex colonie del Commonwealth di cui la regina Elisabetta è il capo di stato. Le accuse dei principi hanno indebolito quest’alleanza centenaria tra 54 paesi e due miliardi di persone, già messa sotto pressione dai movimenti antirazzisti. Molti esperti credono che l’ascesa di Black Lives Matter abbia alimentato le correnti repubblicane in alcuni paesi caraibici che dicono di non volere essere più rappresentati da un capo di stato bianco che vive dall’altra parte del mondo.

 

Il partito di governo giamaicano, lo Jamaica Labour Party (Jlp), è stato eletto lo scorso settembre con la promessa di indire una consultazione sul futuro della monarchia, entro un anno e mezzo. Nello stesso mese anche il governo dell’isola di Barbados –  uno dei nove paesi caraibici in cui la regina Elisabetta è capo di stato –  aveva annunciato l’intenzione di diventare una repubblica entro il 2021 per essere “governati da uno di noi”, come aveva spiegato l’ex commissario di Barbados a Londra, Guy Hewitt. I simboli della monarchia che richiamano al colonialismo mettono a disagio gli isolani: basti pensare che il governatore generale appartiene al Distintissimo Ordine di San Michele e San Giorgio, la cui insegna mostra un angelo bianco che calpesta un diavolo nero steso a terra.

  

Nella giornata di lunedì l’influente agenzia di stampa caraibica News American ha scritto in un editoriale che “è ora che le nazioni caraibiche si emancipino dalla schiavitù mentale e dall’ultimo retaggio del colonialismo”. I siti di informazione di Barbados hanno riportato delle reazioni simili tra alcuni membri del Commonwealth, tra cui Ghana, Pakistan e Kenya. Come ci spiega la professoressa Kate Quinn, un esperta di storia caraibica all’Università di Londra, “le accuse di razzismo non sono una novità per la famiglia reale ma ora hanno avuto un’eco mondiale e danneggeranno la sua reputazione specialmente nei paesi caraibici del Commonwealth in cui la maggioranza della popolazione è nera”.

 

Ma il danno di immagine potrebbe essere ancora più grande, visto che anche l’ex premier australiano Malcom Turnball ha detto che è ora che il paese diventi una repubblica. Molti commentatori e divi americani, da Hillary Clinton a Serena Williams, si sono schierati con i principi e le reazioni in Canada, dove il 60 per cento vuole la fine della monarchia, sono state ugualmente negative. Il rischio di una frammentazione del Commonwealth suscita poco interesse in Gran Bretagna dove questa organizzazione viene vista, specialmente tra le nuove generazioni, come un simbolo scolorito di un passato lontano. Ma la Regina ha molto a cuore quella che chiama “la famiglia delle nazioni”. Come spiega la professoressa Anna Whitelock, “per Elisabetta il Commonwealth è una questione personale, è l’ultimo legame con suo padre. Questa idea ha definito il suo regno fin dal 1947, anno in cui l’allora erede al trono promise di dedicare la sua vita al servizio del Commonwealth in un famoso discorso a Città del Capo”.

 

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