La tonaca bianca contro i militari
Dopo il golpe in Myanmar tutto si è complicato, ci sono nuovi personaggi che interpretano il bene e il male, in tutte le loro declinazioni. Da una parte Suor Ann, dall'altra i trafficanti
"Accadono cose terribili", dice al Foglio un missionario che lavora nel remoto stato Kachin, nel nord della Birmania, al confine con la Cina. I Kachin sono un’etnia che rivendica la propria autonomia e ha costituito il Kachin Independence Army (Kia) finanziandosi col traffico di giada e legname. Negli ultimi tempi il Kia ha addestrato le milizie dell’Arakan Army, i separatisti buddisti del Rackhine, nel sud-ovest birmano, il teatro in cui si consuma la tragica vicenda dei rohingya. L’Arakan Army, in cambio, dovrebbe controllare il traffico verso il Bangladesh delle metanfetamine prodotte nel nord. In questo mercato sono spesso in contrasto con l’esercito Shan, forse la più potente delle milizie etniche (fondata da reduci del Kuomintang cinese, ha fatto fortuna con l’oppio), altre volte sono uniti contro un comune nemico: Tatmadaw l’esercito birmano.
Dopo il golpe del primo febbraio questa ragnatela d’interessi e traffici si è complicata. Di giorno in giorno si sviluppano nuove alleanze (ad esempio i militari hanno rimosso l’Arakan Army dalla lista dei gruppi terroristici, il che non promette nulla di buono per i rohingya), apparenti tregue e colpi di scena come il bombardamento a colpi di mortaio di un aeroporto militare nella notte tra il 10 e l’11 febbraio, che sembrava dover segnare l’inizio dello scontro finale con la mobilitazione dello Shan Army, del Karen Army e del Kachin Independence Army. Tutti eserciti che, come dice con enfasi una fonte dl Foglio, "hanno dichiarato guerra a Tatmadaw". La guerra non sembra ancora scoppiata, ma il bilancio dei morti continua ad aumentare: le vittime dovrebbero essere ormai più di settanta. La maggior parte di loro, compresi quelli di martedì 11, colpiti alla testa, come suggerito da un monaco pazzo.
In questo scenario da “Apocalypse Now” emergono alcuni personaggi che interpretano il bene e il male in tutte le loro declinazioni. Suor Ann Nu Twang, della congregazione di San Francesco Saverio, non è solo un’immagine plastica del bene, ma incarna le anime di questa storia. E’ divenuta famosa, ennesima icona generata dalla Birmania, per aver affrontato i militari nelle strade di Myitkyina, capitale dello stato Kachin. E’ accaduto una prima volta il 28 febbraio, la domenica di sangue. "Da quel giorno mi sono considerata morta", ha detto. Si è inginocchiata nella polvere di fronte a loro implorandoli di non far del male ai suoi ragazzi, i “bambini”. Un momento ripreso in una foto postata dal cardinale Charles Bo, l’artefice della visita papale in Birmania nel 2017. Ma l’immagine più potente, forse per la tonaca bianca che indossava, è quella che riprende Suor Ann l’8 marzo, altra giornata di strage, mentre ancora una volta s’inginocchia di fronte ai militari a braccia aperte dicendo: "Sparate a me". In entrambi i casi il suo appello è rimasto inascoltato anche se alcuni soldati si sono inchinati di fronte a lei giungendo le mani di fronte al volto. Forse anch’essi cristiani, se non cattolici, in una regione dove se ne contano numerosi.
Suor Ann, che lavora a Myitkyina come infermiera in una struttura della diocesi è nata nel 1977 in un villaggio dello stato Shan, quinta di 13 figli. Fa parte di quelli che il missionario che confida al Foglio le sue angosce chiama “i più poveri”, che anche per lui sono i suoi “ragazzi”. Per lui Suor Ann rappresenta qualcosa di più. "E’ la chiesa bassa che lavora", dice, riferendosi anche ad altre monache che hanno aiutato i manifestanti, marciando con loro, offrendo rifugio, da bere e mangiare. Nella definizione del missionario, tuttavia, c’è una punta di amarezza nei confronti della chiesa “alta”: la conferenza episcopale del Myanmar, ha vietato l’uso di simboli cattolici nelle manifestazioni.
Il Sangha, la comunità monastica buddhista è ben più divisa. Da un lato le fazioni integraliste e nazionaliste che hanno sempre identificato nei militari i difensori della tradizione, l’emanazione di un potere considerato sacro. Dall’altro quei monaci, come accaduto nelle manifestazioni del 1988 e nella Rivoluzione di Zafferano del 2007, che considerano la difesa della libertà una virtù buddista. "C’era un tipo che ogni mese spariva, lo venivano a prendere e lo portavano nella giungla. Me lo raccontava un mio amico che vive qui da tanti anni", dice un altro contatto del Foglio a Yangon introducendo un nuovo personaggio presente nelle cronache birmane e che ne rappresenta il cuore di tenebra. "Qui, quando dici giungla intendi un posto isolato, lontano". Secondo il contatto del Foglio quel tipo era un ex militare italiano che nella giungla svolgeva un non meglio precisato lavoro di consulenza per Tatmadaw.
Oggi i personaggi ambigui sono incarnati in Ari Ben-Menashe lobbista di origine israeliana. Trasferito in Canada, ha fondato la Dickens & Madson, società che sembra sia stata ingaggiata dalla giunta per “assisterla nello spiegare la reale situazione nel paese” e, possibilmente, per dimostrare all’amministrazione statunitense la volontà di collaborazione. Meno ambigua ma ugualmente “avventurosa” la figura di Sean Turnell, australiano, consigliere economico di Aung San Suu Kyi, arrestato subito dopo il golpe. Ma non prima che riuscisse a mettere al sicuro i fondi della National League (e, a quanto pare, notevoli finanziamenti americani) su cui i militari volevano mettere le mani. E’ stato uno dei maggiori insuccessi del “sa ya pa”, abbreviazione birmana per “Ufficio del Capo degli Affari della Sicurezza Militare”.
Del tutto sconosciuto invece, l’intermediario che avrebbe fornito proiettili prodotti dalla ditta italiana Cheddite ai soldati birmani. Un bossolo con quel marchio, infatti, è stato ritrovato accanto a un’ambulanza su cui avevano sparato le Forze di sicurezza. Secondo tutti gli osservatori internazionali la Cheddite non avrebbe violato l’embargo sulla vendita d’armi al Myanmar, ma si tratterebbe di un classico caso di “triangolazione”, ossia di armi che hanno modificato la loro “destinazione finale”. Potrebbe anche trattarsi di un lotto di munizioni contrabbandate dalle milizie etniche (come la Beretta calibro 22 trovata in Australia tra gli “effetti personali” di un trafficante di doga dell’etnia Wa). Ma in questo caso siamo davvero nel romanzesco. Più probabile che qualche ufficiale abbia acquistato munizioni (e magari anche armi personali) in una delle fiere di settore che si svolgono regolarmente in Sud-est asiatico. Ad esempio la Defense & Security, triennale che si svolge a Bangkok dove è esposta “una larga gamma di equipaggiamenti per la difesa e la sicurezza”. E dove uomini di tutti gli eserciti e le polizie della regione si divertono a provare ogni tipo di “equipaggiamento”.