Nelle scuole dell'Ue
Come vanno le chiusure degli istituti negli altri paesi europei? Una ricognizione
L'eccezione francese e la cautela tedesca, ecco chi va a scuola tra gli europei
Quella per tenere le aule aperte è diventata una battaglia che Francia, Spagna e Belgio stanno vincendo. Ma i danni sui ragazzi ci sono lo stesso
Roma. A un anno dalle prime chiusure, i governi europei non sono riusciti a formulare una linea unanime sull’apertura e sulla chiusura delle scuole. Ci si ritrova a fare i conti con i giorni persi, i giorni fatti a metà e con un futuro scolastico incerto. Dopo l’inizio della seconda ondata c’è chi inizia a riaprire, chi chiude e chi invece non ha mai chiuso. La Francia di Emmanuel Macron da febbraio del 2020 a marzo 2021 ha lasciato gli istituti aperti per 182 giorni e il governo fa un gran vanto di questo primato e parla di exception française, che è un merito, ma non proprio un’eccezione. L’Unesco ha analizzato l’apertura delle scuole e secondo i dati Parigi figura tra i più virtuosi, ma anche Spagna e Belgio hanno cercato di lasciare aperte. Da maggio dello scorso anno, il governo francese ha cercato di garantire la possibilità di andare a scuola, ci sono state chiusure dove si sono verificati dei focolai, e le lezioni vengono organizzate secondo un sistema misto: alcuni alunni in presenza, alcuni da remoto. La Spagna era stata tra i paesi più colpiti durante la prima ondata e anche quella, assieme all’Italia, che aveva lasciato le scuole chiuse più a lungo. Ma dal nuovo anno scolastico, il governo di Pedro Sánchez ha dichiarato le scuole aperte una priorità, ma con una nuova normalità: il sistema misto. Il ministero dell’Istruzione ha cercato di garantire un protocollo rigido. Ingressi scaglionati, la misurazione della temperatura all’ingresso, mascherine per chi ha più di dodici anni, disinfettante in classe, e bolle sociali. La Spagna ha usato lo stesso sistema attuato dalla Danimarca lo scorso aprile quando cercò di riportare, per prima, i ragazzi in classe.
Tra gli europei anche il Belgio ha fatto delle scuole aperte una battaglia, nonostante abbia avuto non poche difficoltà nella gestione della pandemia. Dal primo settembre ha cercato di mantenere la continuità, con una breve interruzione a inizio novembre. I numeri dei casi tra i bambini sono in aumento, la tendenza è la stessa ovunque, ma secondo i dati a disposizione del governo i focolai si verificano più sui posti di lavoro che nelle scuole e per questo vorrebbe riportare tutti in classe per aprile e cercare di superare il sistema misto. Nel continente europeo è la Svizzera la nazione che ha tenuto le scuole aperte più a lungo, per 248 giorni, l’Italia è la nazione che invece le ha lasciate chiuse più a lungo con una media di 57 giorni. C’è anche chi come la Germania da un’ondata all’altra ha cambiato la sua strategia. Durante la seconda ondata infatti la cancelliera Angela Merkel, per l’arrivo delle varianti e per l’aumento dei decessi, ha deciso di chiudere le scuole dal 16 dicembre fino al primo marzo con una riapertura molto graduale. Anche la Gran Bretagna, nel suo tentativo di riorganizzare la ripartenza post pandemia ha riaperto gli istituti questa settimana e lo ha fatto dopo diverso tempo, cercando di coniugare le chiusure con una campagna di vaccinazione serratissima. Il premier britannico Boris Johnson, alla fine dello scorso anno, aveva detto di voler riaprire le scuole dopo la pausa natalizia, ma con l’arrivo delle varianti ha deciso di prolungare la didattica a distanza.
Per quanto riguarda le scuole gli europei non sono riusciti a trovare un fronte comune e gli stati si sono spesso divisi tra chi è a sostegno della politica scuole aperte a ogni costo e chi invece, come la Germania, su questo principio ha preferito fare un passo indietro. Pesano però i dati. In Francia, uno dei paesi che hanno cercato di garantire la continuità scolastica, confrontando le valutazioni a livello nazionale prima e dopo la pandemia, gli esperti hanno notato un peggioramento soprattutto nella fascia 7-8 anni. Nel bilanciamento delle priorità che questo anno ci ha costretto a fare, c’è chi si chiede: se le scuole non costituiscono davvero un rischio così elevato, quali saranno i danni di questa politica della precauzione?
L'editoriale del direttore