Il siriano Assad e l'illusione che "dittatore arabo uguale stabilità"
La catastrofica guerra civile in Siria ha fatto dieci anni, il rais ha sconfitto chi lo voleva cacciare ma in molte parti del paese il controllo del regime è soltanto una finzione
Ieri è stato il decimo anniversario per convenzione dell’inizio della guerra civile in Siria e il regime del presidente Bashar el Assad ha di sicuro battuto l’opposizione e i gruppi armati che lo volevano cacciare, ma scambiare la sua situazione per il ritorno alla stabilità sarebbe un grosso errore. Prendiamo quello che succede a Daraa, la provincia più a sud del paese, quindi al capo opposto rispetto al nord ancora occupato dai gruppi armati. Lì c’è un milione di persone che nell’estate 2018 aveva accettato un patto di riconciliazione con il regime – non uno solo, erano tanti piccoli patti di riconciliazione locali, il totale è di migliaia – e in teoria si era lasciato alle spalle la fama di “culla della rivoluzione”. Era stata la gente di Daraa a scendere in strada per prima nel marzo del 2011 per protestare contro il sequestro e le torture da parte delle forze di sicurezza assadiste di alcuni bambini del posto che avevano scritto sui muri di una scuola slogan contro il rais e da lì le manifestazioni si erano allargate al resto della Siria. Quasi tre anni dopo la cosiddetta riconciliazione con la gente, non passa un giorno in quella zona senza attacchi contro le forze assadiste. Di fatto, parlare di Daraa come di una provincia tornata sotto il controllo di Damasco sarebbe ingenuo.
Nel 2020 sono morti circa quattrocento soldati e funzionari del governo in uno stillicidio di attacchi ai posti di blocco, aggressioni sulla porta di casa e agguati agli angoli delle strade. A febbraio è arrivata in zona la Quarta Divisione corazzata – un’unità di lealisti comandata da Maher el Assad, fratello di Bashar – per conquistare la città di Tafas e non è una notizia che suggerisca stabilità. Tra l’altro molte delle forze di sicurezza sono ex ribelli riconvertiti in miliziani governativi dopo l’estate della riconciliazione, sono combattenti che si conoscono tutti e si uccidono in una guerriglia fratricida che è anche un regolamento di conti. Come se la situazione non fosse già tesa abbastanza, la Quarta Divisione è considerata al servizio degli iraniani, che da anni appoggiano il regime di Assad e in cambio hanno ottenuto una posizione di vantaggio militare in Siria. Spesso c’è attrito con il Quinto corpo, che è l’unità militare creata dai russi arruolando un po’ di tutto. I russi comandano sulla parte occidentale della provincia e il governo di Assad appoggiato dall’Iran su quella orientale ed è una descrizione fedele di un paese che non è tornato alla stabilità. Troppi problemi non risolti, troppa dipendenza dagli aiuti di altri governi, troppe armi in circolo, troppa violenza. Vale la pena ricordare che in un’altra regione, quella del deserto di Badia, lo Stato islamico è ancora attivo e nel 2020 ha ucciso quattrocento soldati del governo.
Ieri Associated Press ha pubblicato un’analisi sul disastro economico nella parte di Siria controllata da Assad con questa definizione: “la Repubblica delle code”, perché la popolazione è costretta a fare code per ogni genere di prima necessità, dalla benzina al pane e “lo stipendio di un impiegato statale oggi vale 15 dollari rispetto ai 170 di un anno fa”. L’economia è in sofferenza per la guerra civile, per il collasso del Libano che faceva da collegamento con il resto del mondo e per le sanzioni internazionali, che puniscono il regime per le atrocità commesse sui civili. Non c’è un lento ritorno al prima, si va avanti verso un’altra fase buia.