Iglesias esce dal governo per sfidare la “trumpiana” di Madrid
Il vicepremier di Podemos contro la governatrice Ayuso. Estremo vs estremo: l’artefice (sciagurato) è Ciudadanos
Morire per Murcia. Perché è proprio lì, nella città del sud-est della Spagna e nell’omonima Regione (circa un milione e mezzo di abitanti), che si è accesa la scintilla che in pochi giorni si è poi estesa, come un incendio politico, in tutta la Spagna, trovando materiale particolarmente infiammabile a Madrid – intesa sia come la Regione che include la capitale sia come la sineddoche per indicare il governo centrale, guidato dal socialista Pedro Sánchez.
Tutto è iniziato mercoledì scorso. A Murcia, appunto. Lì, per una bega locale, i centristi di Ciudadanos, che sia al Comune sia alla Regione facevano parte dei rispettivi governi di centrodestra guidati dal Partito popolare (Pp), si sono accordati con i socialisti per una mozione di censura con cui sottrarre le due amministrazioni al Pp attraverso il meccanismo della sfiducia costruttiva. Subito, sperando in un effetto domino, i socialisti e un’altra formazione di sinistra hanno chiesto la mozione di censura anche alla Regione di Madrid, che è a sua volta retta da un’amministrazione del Pp appoggiata da Ciudadanos. Ma la presidente popolare della Regione, Isabel Díaz Ayuso, li ha preceduti di qualche minuto, indicendo elezioni anticipate per il 4 di maggio. Intanto, a Murcia, metà dei deputati di Ciudadanos si sono sfilati dal loro partito, condannando a un probabile naufragio la mozione di censura e facendo affondare (forse irreversibilmente) nel ridicolo il partito guidato, non si sa ancora per quanto, da Inés Arrimadas. Ma a Madrid il clima si era ormai surriscaldato e riecheggiavano già parole d’ordine da rievocazione in costume della Guerra civil.
Come se all’orizzonte apparissero già i primi colbacchi, Santiago Abascal, il leader della formazione sovranista di estrema destra Vox (che appoggia il governo popolare nella Regione di Madrid e in altre amministrazioni locali), ha twittato a caldo: “Elezioni immediate a Madrid, in Andalusia e in Castiglia-León, che fronteggiano il rischio di essere assaltate dal socialismo”. Nei mesi scorsi, la Ayuso – che i giornali stranieri, un po’ generosamente, hanno già dipinto come una “dama di ferro” o come una Trump spagnola – si è ritagliata una figura da ribelle al governo socialista. Contando sul particolare contesto madrileno, dove da decenni si è sviluppato un microcosmo politico-mediatico di destra che pratica un discorso molto più aggressivo di quello che il Pp deve incarnare in provincia per attrarre l’elettorato moderato, Ayuso nei suoi rapporti con Sánchez ha interpretato il ruolo del poliziotto cattivo ogni volta che il leader del suo partito, Pablo Casado, si è invece mostrato più dialogante. E quindi anche in questa occasione, annunciando le elezioni anticipate, Ayuso ha twittato una chiamata alle armi col botto: “SOCIALISMO O LIBERTÀ”, tutto in caps lock. Poi, ieri, ecco il vero terremoto. Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha annunciato le sue dimissioni da vicepremier proprio per candidarsi contro la Ayuso nelle elezioni regionali anticipate. E’ una mossa kamikaze, con cui il leader della sinistra populista cerca di rinvigorire la sua figura anche a fronte di una sicura sconfitta, visto che la vittoria della Ayuso, seppur con l’aiuto di Vox, è pressoché certa e che a Madrid sono molto forti le liste che si riconoscono in Íñigo Errejón, l’ex numero due di Podemos poi fondatore del movimento Más país (a cui Iglesias ha proposto una temporanea riappacificazione).
Iglesias, come se sui cieli di Madrid si sentisse già il rombo dei bombardieri della Luftwaffe, ha fatto subito ricorso, anche lui, a parole da ultima barricata: “Bisogna impedire che questi delinquenti, che questi criminali che rivendicano la dittatura, che fanno apologia del terrorismo di stato, che promuovono la violenza contro i migranti, contro gli omosessuali e contro le femministe, e che quando alcuni militari parlano di fucilare 26 milioni di ‘rossi’ li definiscono come ‘la loro gente’, possano avere tutto il potere a Madrid”, ha detto il vicepremier dimissionario, riferendosi a Vox e alludendo ad alcuni messaggi molto fuori dalle righe che sono circolati in una chat di WhatsApp di militari in pensione, ideologicamente non distanti dal partito di Abascal. Da parte sua, pochi minuti dopo l’annuncio della candidatura di Iglesias, Ayuso ha postato un upgrade del suo tweet di qualche giorno prima: “COMUNISMO O LIBERTÀ” (anche stavolta tutto maiuscolo).
Con un’accelerazione bruciante, l’implosione del centro costituito da Ciudadanos ha finito di appiattire i due grandi partiti sui loro alleati, quantomeno nella propaganda. E quindi un voto per la Ayuso, e cioè per il Pp, viene dipinto a sinistra come un voto per Vox e cioè per Trump (se non direttamente per Francisco Franco). E un voto ai socialisti coincide, visto da destra, con un voto per Iglesias, se non direttamente per Hugo Chávez (o per Stalin o per qualche banda di incendiatori di chiese). In effetti, però, proprio quando sembrava che la politica spagnola potesse prendersi una pausa di due anni senza elezioni in cui i due grandi partiti avrebbero potuto elaborare le loro strategie di rilancio per il periodo post pandemico, ecco che invece riesplode una polarizzazione esasperata che sembra premiare chi, come Ayuso e Iglesias (che sono nati lo stesso giorno, il 17 ottobre 1978), predilige scontri arroventati. Ma il vero paradosso è che l’innesco per questa esplosione di estremismi è stato offerto proprio dalla goffaggine suicida di Ciudadanos, il partito più centrista (parlandone da vivo) del panorama spagnolo.