Nelle “Covid election” di Germania e Olanda piace il tipo pragmatico

C'è una lezione da trarre dalle prime elezioni a un anno dalla pandemia: vince chi sa amministrare

Micol Flammini

Il voto nei Länder tedeschi mostra che gli elettori hanno voglia di bravi amministratori, soprattutto in questa crisi sanitaria. Lo stesso nei Paesi Bassi, dove Rutte va verso il quarto mandato. Non è stato brillante durante la pandemia, ma gli olandesi con lui hanno una sicurezza: sarà sempre come il paese ha bisogno che sia

Le prime elezioni a un anno dall’inizio della  pandemia si sono chiuse domenica e altre sono iniziate ieri. In Germania due Länder, Baden-Württemberg e Renania-Palatinato, hanno votato per il governo locale. Nei Paesi Bassi invece si è iniziato a votare per le elezioni politiche, i risultati si sapranno mercoledì. Sono scenari diversi e nazioni diverse, le elezioni tedesche erano uno scrutinio locale ma che ha lanciato messaggi importanti anche dal punto di vista nazionale, mettendo in crisi non soltanto il partito di Angela Merkel, la Cdu, ma anche il nuovo leader del partito Armin Laschet. Il calo dei cristianodemocratici è ormai fisiologico, soprattutto a livello locale, ed era  previsto. Non ha sorpreso neppure la conferma dei ministri presidenti dei due Länder, Winfried Kretschmann in Baden-Württemberg dei Verdi e Malu Dreyer dell’Spd in Renania-Palatinato. La Cdu invece ha pagato il lungo lockdown, la campagna di vaccinazione a rilento, lo scandalo delle mascherine, ma soprattutto la sua necessità di trasformazione: dopo sedici anni di Merkel, il partito deve trovare la sua strada. E la prova nei due Länder è soltanto l’inizio di questo anno super elettorale tedesco, che sarà dominato   dall’uscita di scena della cancelliera. Oltre alle difficoltà della Cdu, quello che emerge da queste prime elezioni in pandemia è che a guidare il voto degli elettori è il giudizio su come è stata gestita la crisi. Sia in Baden-Württemberg sia in Renania Palatinato hanno vinto due governatori che più che farsi guidare dalla loro appartenenza politica hanno amministrato con pragmatismo: Kretschmann è un verde  conservatore che ha trovato una sintesi  tra le politiche ecologiste e la natura del suo Land che vive di due grandi case automobilistiche Porsche e Daimler-Benz. 

 

 

In Olanda i sondaggi danno in vantaggio Mark Rutte, premier dal 2010 e con la fine dell’èra Merkel, assieme a Viktor Orbán prenderà lo scettro di capo del governo più longevo d’Europa. Le previsioni danno il suo partito Vvd al 38 per cento, cinque punti in crescita rispetto al voto del 2017. L’ultimo governo di Rutte  è caduto a gennaio dopo uno scandalo sui bonus per i figli alle famiglie in difficoltà, le dimissioni hanno fatto guadagnare punti al premier che pure non è stato brillante nel gestire la pandemia né nell’organizzare la campagna di vaccinazione, che è partita in ritardo rispetto a tutta Europa. Rutte, anche lui, è un leader pragmatico, senza ideologia, ha preso il suo partito e lo ha trasformato come conveniva, l’ha messo un po’ più a destra o più a sinistra a seconda delle circostanze, e questo ha conferito agli olandesi una sicurezza: Rutte sarà sempre come i Paesi Bassi hanno bisogno che sia. Ha continuato a gestire il suo governo come un’azienda, è questo il mondo da cui proviene, era capo delle risorse umane di Unilever. Capace di trattare con chiunque ha formato coalizioni diverse e dopo queste elezioni in cui potrebbero entrare in Parlamento quindici partiti dovrà utilizzare le sue doti di compromesso e soprattutto capire come gestire quello che probabilmente sarà il secondo partito: l’estrema destra di Geert Wilders, leader del Partito della Libertà (Pvv). I due si sfidano da tempo, ma finora è Rutte che ha capito come indebolire  Wilders. 

 

Contrariamente all’AfD tedesca –  nelle elezioni del fine settimana il gruppo di estrema destra ha perso qualche punto rispetto al 2016 confermandosi un partito stabile ma che va bene nell’est del paese e non nei Länder occidentali – Wilders è riuscito a riconquistare  consenso durante la crisi, ma se questo non gli basterà per vincere, forse gli sarà utile per negoziare. Non ha mai governato e in queste elezioni segnate dal Covid, quel che conta è il pragmatismo: vince chi ha dimostrato di saper amministrare.  
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)