Accordi e rischi
Lo stress test della solidarietà europea
La decisione di sospendere AstraZeneca mette in discussione la coesione dell'Ue ma anche i suoi rapporti con gli altri alleati multilateralisti, almeno sulla carta. E gli inglesi poi, quanto si sentono più forti per la loro propensione al rischio
L’Europa sconta la sua politica “zero rischi”, che ha escluso, per fare un esempio, l’adozione di procedure di emergenza per l’approvazione dei vaccini. L’obiettivo era mantenere la solidarietà tra i paesi, quella che giusto un anno fa non c’era e che poi è stata costruita durante i negoziati sul sostegno economico e che ha avuto uno straordinario effetto di protezione
Con inusuale tempismo, ieri la Commissione europea ha annunciato di aver raggiunto un accordo con Pfizer-BioNTech per la consegna accelerata di 10 milioni di dosi per il secondo trimestre, per un totale di dosi di questo vaccino che supera i 200 milioni. Una buona notizia in giornate nerissime di sfiducia e di stress test per la solidarietà europea, rese ancora più cupe dal bullismo oltre Manica. Il premier Boris Johnson, che ha una sala stampa nuova di zecca (e costosissima e realizzata in parte da un’azienda russa) e che ha lanciato il suo piano per una “Global Britain” che mai è sembrata tanto promettente come oggi, ripete che il vaccino AstraZeneca funziona, che viene prodotto e utilizzato in tutto il mondo, che l’Agenzia del farmaco britannica è rigorosa e rinomata, che è bello vedere una campagna vaccinale tanto rapida e tanto efficace.
Qualche tempo fa, Johnson fece la ramanzina agli altri paesi europei magnificando la propensione unica del Regno verso la libertà (il nostro presidente Mattarella disse: non c’è libertà senza responsabilità), ma l’eccezionalismo britannico non è tanto questa propensione, quanto quella al rischio, alla capacità di assumersi e gestire questo rischio.
La sfida fra tedeschi e inglesi che ha una storia lunghissima e che viene periodicamente ripresa da intellettuali e accademici che si dilettano con la superiorità dell’uno o dell’altro popolo, oggi si vede nitida: gli inglesi pronti a tutto per dare una svolta alla pandemia, rischi connessi inclusi (dopo aver sbagliato molto) e i tedeschi cautissimi, refrattari a qualsiasi rischio, che citano traumi del passato (il Contergan, un medicinale che 50 anni fa causò gravi disabilità in molti bambini) come moniti per il presente. Uno scontro culturale così, quando tutto si gioca su rapidità, fiducia e gestione del rischio, non può che premiare chi sa osare (e i giornali inglesi stanno insistendo molto su questo punto, la loro rivincita).
L’Europa sconta invece la sua politica “zero rischi”, che ha escluso, per fare un esempio, l’adozione di procedure di emergenza per l’approvazione dei vaccini. L’obiettivo era quello di mantenere la solidarietà tra i paesi, quella solidarietà che giusto un anno fa non c’era e che poi è stata costruita durante i negoziati sul sostegno economico e che ha avuto uno straordinario effetto di protezione: i paesi più piccoli ne hanno beneficiato grandemente nell’approvvigionamento dei vaccini. Ma solidarietà e multilateralismo ora sono di nuovo in discussione, non soltanto perché la Germania ha concordato con alcuni paesi (non tutti e non in sede europea) la sospensione temporanea della somministrazione di AstraZeneca, ma anche perché altri paesi, sulla carta custodi del multilateralismo, hanno deciso di pensare prima a sé stessi: è quel che fa l’America di Joe Biden (l’effetto è chiaramente descritto dalle parole di un altro gran multilateralista, il premier canadese Justin Trudeau, che non produce vaccini e dipende dalla solidarietà altrui: “Il miglior vaccino che potete avere”, ha detto due giorni fa ai canadesi, “è il primo che vi viene offerto”). Non è un caso che lo stress test sulla solidarietà stia andando male soprattutto per l’Europa.