Elezioni olandesi
Riforme, clima, diritti. Così i liberali hanno rosicchiato voti a tutti
I D66 di Sigrid Kaag sono la grande sorpresa alle urne nei Paesi Bassi. Merito di una leadership forte che ha colpito a sinistra, mentre Rutte è l’inaffondabile pacificatore: hanno funzionato entrambi
L’Olanda si sveglia moderata, liberaldemocratica, sempre più vicina all’Unione europea. E’ stata la vittoria annunciata di Mark Rutte, certo: il premier tenace, capace di resistere agli scossoni della pandemia e allo scandalo politico che l’aveva spinto alle dimissioni lo scorso gennaio, eppure ringalluzzito da due seggi in più – 35 in totale – rispetto alle elezioni del 2017. Ma è stato soprattutto l’exploit di Sigrid Kaag, 59enne leader dei Democraten66 che diventano il secondo partito del paese contro ogni pronostico. E sondaggio: “Tutti li davano non oltre i 19 seggi che avevano finora. Ne hanno presi 24, eguagliando il loro miglior risultato di sempre”, dice al Foglio Donatello Piras, commentatore politico italo-olandese e presentatore di Bnr Nieuwsradio. “Si tratta della terza forza di centro oltre al Vvd di Rutte e ai democristiani. Economicamente verso il liberismo di destra, ma molto progressista sui diritti. La mano di Kaag sul partito è sotto gli occhi di tutti”.
Ministro del Commercio estero nell’ultimo esecutivo, una carriera da diplomatica per l’Onu in Africa e medio oriente, fortemente europeista. E guida dei D66 solo dallo scorso settembre: “A chi assomiglia Sigrid Kaag? La sua agenda politica è in linea con quella di Emmanuel Macron”, continua Piras. “Meno radicale di Emma Bonino, vagamente affine ad Azione. Ma in Italia fatico a trovare un corrispettivo: Kaag spinge molto sul rilancio dell’istruzione e del cambiamento climatico, ma anche per un ruolo attivo dell’Olanda all’interno dell’Ue. Lei sola si è dichiarata a favore del Recovery fund per i paesi del Mediterraneo”. Kaag ha vinto anche sul piano della comunicazione: “La leadership femminile ha attirato molti giovani elettori, fra i 18 e 35 anni. In campagna elettorale si parlava poco di Europa e lei si è inserita nel dibattito con coraggio. Tutta la coalizione centrista di governo era d’accordo sul pass vaccinale”, una app che darà progressivamente la possibilità ai cittadini di tornare a prendere parte a eventi e vita sociale, “ma lei ne ha fatto una battaglia tutta sua. E così ha intercettato l’alta quota di indecisi”.
Se è vero che i sondaggi non hanno fiutato l’ascesa dei D66, molto si è giocato al fotofinish: “Sigrid Kaag, nei dibattiti tv di lunedì e martedì, si è efficacemente presentata come l’unico riferimento credibile per i progressisti di sinistra”, dicono Simon Otjes e Petr Kopecky, professori di Politica olandese e Studi comparati della competizione fra partiti presso l’Università di Leiden. “Così questi elettori hanno capito di poter ottenere una voce attiva nella coalizione di governo”. Abbandonando la nave: GroenLinks, la formazione di sinistra verde protagonista della precedente tornata elettorale, ha visto i suoi seggi dimezzarsi da 14 a 7. E nelle sue roccaforti di Amsterdam e Utrecht oggi il primo partito è proprio D66: “Kaag ha abbracciato anche il tema dell’ambientalismo, ma si è dimostrata poliedrica. Mentre con la crisi innescata dalla pandemia, secondo tutti i sondaggi demoscopici, la questione climatica non è stata più percepita come prioritaria. Contavano il sistema sanitario, quello delle libertà da ripristinare secondo valori sociali conservatori. E GroenLinks ha fatto fatica a riposizionarsi oltre”.
La sinistra è la grande sconfitta di queste elezioni. Arretrano anche gli ultranazionalisti di Geert Wilders (-3 seggi), ma sarebbe fuorviante affermare che i Paesi Bassi abbiano scacciato il sovranismo: “La destra è spaccata in tre e non vuole coalizzarsi”, sottolineano Otjes e Kopecky. “Per questo non ha sfondato e viene tagliata fuori. Tutti insieme questi partiti hanno totalizzato 29 seggi: è comunque il risultato migliore degli ultimi dieci anni”. La frammentazione politica record – si sono presentate 37 liste – unita a un’alta affluenza – 80 per cento circa – fa il gioco delle forze al potere. Rutte in primis. “Dal 1998 il primo partito di governo aveva sempre perso qualche seggio alle elezioni successive. Oggi si è invertito il trend: le urne, nonostante tutto, hanno premiato il ruolo pacificatore del leader di Vvd che ritrova solida legittimità”. I D66 sono alleati di Rutte anche al Parlamento europeo, nel gruppo Renew Europe. Potranno solo spostare al margine la traiettoria: “La spinta europeista c’è ad ogni livello delle forze liberaldemocratiche – anche Volt, con tre seggi, supera per la prima volta la soglia di sbarramento – e si farà sentire. Ma la linea di Rutte con Bruxelles è sempre stata pragmatica, euro-prudente. E l’ultima parola spetterà a lui”. Ancora una volta.
Dalle piazze ai palazzi