Overdose elettorale

Vince ancora Bibi?

Dahlia Scheindlin ci dice chi è in vantaggio, cosa guardare, cosa aspettarci. Numeri, percentuali e storie. A partire da un podcast

Micol Flammini

La campagna elettorale in Israele è stata quasi impercettibile e la pandemia c'entra fino a un certo punto. Chiacchiere e previsioni sul voto in Israele che è diventato routine

La campagna elettorale in Israele è stata quasi impercettibile. Il lockdown ha contribuito ma anche dopo la riapertura gli eventi sono stati pochi, silenziosi, deserti. E il coronavirus, dice al Foglio Dahlia Scheindlin, c’entra appena. “E’ la quarta elezione in due anni, le persone vedono le stesse cose da tempo, tra un voto e l’altro ci sono state variazioni minime. E’ normale che non ci sia stata  esaltazione,  o eventi vibranti. Le persone non erano neppure curiose: il programma dei candidati, gli elettori lo conoscono già a memoria”. In Israele si vota martedì prossimo e “votare non è più un’eccezione, è  routine”, sembrano tutti ormai assuefatti. In overdose.

 

Election Overdose” è il nome del podcast che Dahlia Scheindlin e Anshel Pfeffer hanno realizzato per il quotidiano israeliano Haaretz e che ha il nome perfetto per descrivere questo stato torpore politico che ha catturato gli israeliani da ormai due anni. Il titolo al podcast lo ha dato lei, sondaggista e analista politica. “Forse l’unico cambiamento sono i messaggi elettorali adattati alla pandemia”. Eppure una novità, che almeno a dicembre sembrava grandissima, in realtà c’è: la candidatura di Gideon Sa’ar, uscito dal Likud per sfidare il premier Benjamin Netanyahu e che sembrava intenzionato a portargli via alleati ed elettori. “Sa’ar, secondo i sondaggi, arriverà addirittura quarto: primo il Likud di Netanyahu, poi Yesh atid di Lapid, Yamina di Naftali Bennett, e poi Nuova speranza di Sa’ar. Può ancora essere una minaccia se si pensa alle coalizioni, il suo peso qualcosa può spostare in un asse anti Netanyahu”. A ogni elezione spuntano politici decisi a essere lo sfidante numero uno del premier che governa dal 2009. “A livello teorico tutti possono diventare primo ministro e sfidare il leader del Likud, ma ci sono figure, come Bennett, che continuano a ripeterlo e suona un po’ supponente, perché questa volta, a livello pratico, non c’è nessun partito che sia davvero una minaccia”. Non c’è neppure un Gantz. O meglio, Gantz c’è, ma il suo partito Kahol Lavan che alle ultime elezioni aveva ottenuto 33 seggi, ora ne prenderà quattro. “Per sfidare il premier devi avere due cose: un sostegno popolare enorme e la capacità di creare una coalizione. A Gantz è mancato il secondo punto, ha deciso di governare con Netanyahu, ma non aveva esperienza politica e non è stato in grado di mantenersi forte dentro la coalizione. Ha sprecato un mandato enorme, e ora si ripresenta agli elettori con la promessa di aver imparato la lezione e di non rifare gli stessi errori. Fossi un suo elettore non lo voterei”. 

 

Ma in tutta questa immobilità, anche Bibi rimane fermo, pur muovendosi moltissimo. Il premier israeliano cercava le sue grandi occasioni, le sue grandi strette di mano, ha organizzato la campagna elettorale più veloce ed efficiente al mondo, ha stretto degli accordi diplomatici storici che cambieranno il volto del medio oriente, eppure il suo elettorato rimane quello. “E’ stabile, i sondaggi lo danno tra i 28 e i 33 seggi. La disoccupazione terribile della pandemia – oltre il 20 per cento – non ha portato i suoi numeri giù. Di contro neppure la campagna di vaccinazione li ha portati su. E niente avrebbero fatto neppure le strette di mano con l’emiro Bin Zayed o con il ceo di Pfizer Albert Bourla, perché anche a questo gli israeliani si sentono abituati”. Questi elettori israeliani ormai adusi a tutto però, dai sondaggi, sembra che a votare ci andranno ugualmente, forse si sono stancati meno del previsto. “L’unica cosa a cui fare attenzione potrebbero essere gli israeliani all’estero e devono tornare  per votare: ora viaggiare è più difficile, questo potrebbe determinare quei cinque sei punti di differenza”. 

 

Tra overdose, assuefazione, e déjà-vu, quello che c’è da attendersi è un fronte Bibi e uno anti Bibi, pieno di candidati che litigano tra di loro, e il solito ago della bilancia, che cambia a ogni elezione e questa volta è interpretato da Naftali Bennett. “L’opzione più probabile è che Netanyahu riesca costituire un governo totalmente di destra. Se l’opposizione va meglio del previsto e il blocco del premier prendesse meno di 55 seggi, sarebbe in una posizione di maggiore debolezza. Bennett non ha detto con chi vuole stare, ci sono più probabilità che vada con il Likud, ma potrebbe stupirci”. Poi c’è l’opzione che nessuno dice, che tutti hanno in testa e che Dahlia Scheindlin esplicita sorridendo: “Non è impossibile neppure una quinta elezione”. Non basterà più parlare di overdose. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)